Missioni Consolata - Novembre 2017
gli uomini vengono pri- ma dei parchi e che l’am- bientalismo non può di- ventare il giustiziere del- le popolazioni indigene. Ha ragione però anche chi ricorda che le accuse e le denunce devono es- sere il più possibile pre- cise e circostanziate. Non si può far di tutta l’erba un fascio. A me la dizione «Parchi Nazionali» non dispiace affatto. Dipendesse da me, ne istituirei anche degli altri, specialmente nei paesi dove vivono mi- noranze tribali, inseren- doli nel programma U- nesco «L’Uomo e la Bio- sfera» (****). A fare la differenza non sono le etichette giuste ma le persone giuste. Tutti noi siamo chiamati a diventare giusti, non solo chi indossa una divi- sa o chi ha un certo titolo di studio e ha ricevuto u- na certa nomina. Se un parco, o riserva, peggiora la sua condizio- ne, è per colpa dei crimi- ni di pochi, ma anche dell’indifferenza di molti. Se invece un parco mi- gliora la sua condizione e anche le minoranze etni- che che vivono all’interno di quel parco stanno me- glio, è perché quell’indif- ferenza è stata combat- tuta, rintuzzata, supera- ta, e anche coloro che prima abusavano, si so- no ravveduti e hanno ini- ziato un nuovo percorso, una nuova carriera, una nuova vita. Una vita più gratificante, perché colti- vare, custodire e conser- vare, anche sotto il profi- lo estetico, è meglio che abusare, depredare e di- struggere. Cordialmente Carlo Erminio Pace 08/09/2017 (***) Michael Day, Fight For The Tiger: One Man's Fight To Save The Wild Tiger From Ex- tinction , Trafalgar Square Pu- blishing, Londra 1995. (****) «Il Programma sull'uo- mo e la biosfera (o Program- ma Mab per l'uomo e la bio- sfera) è uno dei cinque pro- grammi dell'Unesco nel quadro delle scienze esatte e naturali. [...] Questo program- ma, iniziato nel 1968 e for- malmente istituito nel 1971, mira a creare una base scien- tifica per migliorare i rapporti uomo-natura a livello globa- le» ( Wikipedia ). A commento di quanto scritto dal signor Pace, ri- porto qui quanto ha detto papa Francesco il 7/09 scorso a Bogotá ai vescovi della Colombia. «E prima di concludere un pensiero vorrei rivolgere alle sfide della Chiesa in Amazzonia, regione della quale siete giustamente orgogliosi, perché è parte essenziale della meravi- gliosa biodiversità di que- sto paese. L’Amazzonia è MC R Per questo vi invito a non abbandonare a sé stessa la Chiesa in Amazzonia. Il rafforzamento, il consoli- damento di un volto a- mazzonico per la Chiesa che qui è pellegrina è una sfida di tutti voi, che di- pende dal crescente e consapevole appoggio missionario di tutte le dio- cesi colombiane e di tutto il suo clero. Ho ascoltato che in alcune lingue nati- ve amazzoniche per rife- rirsi alla parola “amico” si usa l’espressione “l’altro mio braccio”. Siate per- tanto l’altro braccio del- l’Amazzonia. La Colombia non la può amputare sen- za essere mutilata nel suo volto e nella sua anima». per tutti noi una prova de- cisiva per verificare se la nostra società, quasi sempre ridotta al mate- rialismo e al pragmati- smo, è in grado di custo- dire ciò che ha ricevuto gratuitamente, non per saccheggiarlo, ma per renderlo fecondo. Penso soprattutto all’arcana sa- pienza dei popoli indigeni dell’Amazzonia e mi do- mando se siamo ancora capaci di imparare da essi la sacralità della vita, il ri- spetto per la natura, la consapevolezza che la ra- gione strumentale non è sufficiente per colmare la vita dell’uomo e risponde- re alla ricerca profonda che lo interpella. NOVEMBRE2017 MC 7 «MINGA» AMAZONICA TRIFRONTERIZA La situazione Il Vicariato Apostolico di Puerto Leuguizamo Solano, nella Colombia Sud orientale, si estende su una vasta regione con caratteristiche particolari: il suo territorio infatti è di- stribuito tra tre dipartimenti, Caquetá, Putumayo e Ama- zonas, e sta a ridosso delle frontiere con Perù ed Ecuador. In esso avviene il 2,5% delle relazioni commerciali, sociali, culturali e politiche tra i tre paesi latinoamericani. Infine si trova al centro del 6% dell’Amazzonia colombiana. Queste caratteristiche rendono il Vicariato un luogo di par- ticolare interesse per il mondo intero, non solo perchè in esso si incontrano diversi popoli, ciascuno con la propria visione ancestrale del mondo, ma soprattutto perché è il cuore di una grande biodiversità, ricchezza di acqua e di potenziale energia. Allo stesso tempo il suo territorio, compreso tra i fiumi Caquetá, Putumayo e loro affluenti, è segnato da una grande vulnerabilità, perché isolato e ge- neralmente trascurato dallo stato. Il fatto che le uniche vie di comunicazione tra la zona del Vicariato e il resto del paese siano fluviale o aerea, comporta diversi problemi: l’alto costo della vita fa- migliare, lo spostamento di molti in altre regioni, il non soddisfacimento dei biso- gni di base della popolazione, come l’alloggio, l’istruzione, la sanità, l’occupazio- ne, e la presenza di gruppi armati che si spostano liberamente tra i dipartimenti e, in certi momenti, tra Perù, Colombia ed Ecuador. Ad aggravare la situazione concorre anche l’attività di estrazione, sfruttamento e traffico delle risorse naturali. L’estrazione del caucciù all’inizio del XX secolo, per esempio, ha prodotto gravi danni ambientali e socioculturali, come la schiavitù a cui è stata sottoposta la popolazione indigena della zona e addirittura l’estinzione di vari gruppi etnici. La proposta: «Minga», lavoriamo insieme In questo contesto, gli incaricati della pastorale sociale, educativa e indigena del Vicariato hanno organizzato un incontro di studio e lavoro a inizio novembre allo scopo di incrementare l’impegno per il territorio e di renderlo maggiormente vi- sibile, di promuovere una riflessione che permetta agli operatori pastorali di ap- propiarsi del contesto sentendosi parte di un popolo multietnico e di crescere nella capacità di custodire la Casa comune, senza sempre aspettare iniziative o proposte che vengano da fuori. L’incontro si chiama «Minga», un termine indige- no che indica il lavoro fatto insieme per il bene comune.
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