Missioni Consolata - Novembre 2017
52 MC NOVEMBRE2017 I militi della «Muti», non contenti di aver bru- ciato case e rastrellato una cinquantina di per- sone fra vecchi, donne e bambini, presero an- che te - il parroco - accusandoti di aver fatto suonare le campane per segnalare ai partigiani il passaggio della colonna militare. I fermati, o meglio gli ostaggi, furono trattenuti fino a sera dopo un intero giorno di interrogatori. Stando con loro, a tutti raccomandavo di avere fidu- cia e calma, perché si faceva largo nella mia co- scienza il pensiero che se la sarebbero presa solo con il pastore del gregge, ovvero io, loro parroco. Infatti dissi loro: «Prima di voi ci sono io. Sarò solo io a essere ammazzato». E andò proprio così? Verso sera fummo tutti liberati e tornammo alle no- stre case e io in canonica, dove mia sorella mi scon- giurava di scappare in montagna; ma non ci fu il tempo, infatti dopo pochi minuti si presentarono quattro Camicie Nere che mi arrestarono senza darmi nemmeno il tempo di infilare le scarpe e mi portarono via. Don Giuseppe da quella sera sparì, lo trovarono al- cune settimane dopo in un vallone sotto il paese, sepolto in una fossa che era stato costretto a sca- vare con le proprie mani. Il cranio gli era stato spaccato dal calcio di un fucile, aveva ricevuto una pugnalata alla schiena ed era stato finito con un colpo sparato in viso. Non si seppe mai chi lo uc- cise. Il comandante del presidio fascista di allora fu condannato nel 1946 per crimini di guerra, poi dopo aver chiesto perdono alla mamma di don Giuseppe e al parroco don Severino Cantonetti suo successore, scontò solo qualche anno di carcere. A cento anni dalla sua nascita, il gesuita novarese Francesco Occhetta, in un articolo su «Civiltà Cat- 4 chiacchiere con... MC R tolica» dell’agosto 2014, che illustrava i motivi del- l’apertura della sua causa di beatificazione, scrisse chiedendosi se il suo sia stato un vero martirio: la risposta è più che ovvia, in quanto la sua «testimo- nianza di vita evangelica» - in greco, martyrion - va ben oltre la sua drammatica esecuzione e rimanda a un modo di appartenere a Cristo nascosto nell’a- nonimato nonostante le crisi. La fedeltà di una promessa è portata al sacrificio di sé per la sal- vezza degli altri. È quanto la Scrittura riassume in un versetto: «Sii fedele fino alla morte, e ti darò la corona della vita» (Ap 2,10). La vita di don Giuseppe Rossi, tramanda alle gene- razioni future la grandezza della missione sacerdo- tale nel cruento sacrificio del martire. Don Mario Bandera DON GIUSEPPE ROSSI, UN SACERDOTE «PER TUTTO E PER TUTTI» Mons. Franco Giulio Brambilla (Vescovo di Novara, diocesi che territorialmente comprende anche tutte le Valli dell’Ossola) nella messa di chiusura dell’anno centenario della nascita di don Giuseppe Rossi, celebrata il 22/09/2013 nella sua parroc- chia di montagna, con il successore don Severino Cantonetti, sacerdote quasi centenario, decano del clero novarese e intre- pido custode della memoria del predecessore, si era chiesto in che cosa e perché il modello di prete incarnato da don Giu- seppe Rossi fosse ancora di attualità. Aveva dato tre risposte. Anzitutto perché «il sacerdote, che don Rossi incarnava, era “per tutto e per tutti”, egli era un prete che ha vissuto, oltre alla vicinanza, la dimensione della prossimità. La parrocchia po- trà cambiare le forme, ma non dovrà mai perdere questo ele- mento decisivo, che caratterizzò il tempo di don Rossi: dovrà sempre essere “per tutto e per tutti”. La porta della chiesa deve avere la soglia più bassa; cioè la porta deve essere la più acces- sibile a tutti». Il secondo motivo - disse Mons. Brambilla - è la cura personale verso ogni parrocchiano. Quel sacerdote modello ha fatto sì che la parrocchia tradizionale fosse anche «per cia- scuno». Non era, cioè, riferita solo «al quantitativo, ma anche al qualita- tivo»: sapeva valorizzare la storia, la vocazione, l’intuizione di ciascuno, e curare le persone con uno sguardo personale. Don Giuseppe era un par- roco che proprio grazie alla sua grande umanità ha costruito la sua storia, insieme alla storia delle fami- glie della piccola porzione di terra che era chiamato a servire, il suo essere prete fu un servizio totale e gratuito alla sua gente fino all’offerta della propria vita. Infine la terza dimensione - aveva concluso il vescovo - è quella di aver avuto a cuore «il privilegio dei poveri, quelli che hanno la vita che fa fatica ad andare avanti nelle relazioni. Le re- lazioni sono oggi quelle che vengono più penalizzate». da www.diocesinovara.it
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