Missioni Consolata - Novembre 2017

ponendolo di fronte anche a una sfida politica e cul- turale di vaste proporzioni. In Germania il 2015 non sarà ricordato solo per la crisi dei rifugiati. Anche il terrorismo, da molti anni assente, ha fatto il suo macabro ritorno nel paese provocando un mutamento dello scenario politico e della sicurezza altrettanto importante. Ricordiamo, su tutti, gli attacchi dell’estate di quell’anno, da An- sbach a Würzburg, entrambi rivendicati dall’Isis. L’anno successivo, invece, è stato funestato da epi- sodi di ancor più vasta portata: la strage di Monaco di Baviera del 22 luglio 2016, dove hanno perso la vita 10 persone, e l’attacco terroristico al mercatino di Natale a Berlino, il 19 dicembre, costato 12 vit- time. Non si è trattato in tutti i casi di attentati a sfondo religioso. Tutti, invece, i protagonisti di que- sti macabri eventi erano, almeno per origine, stra- nieri. Ebbene, il clima che si respirava nelle strade, il dibattito sui media e su internet di quei giorni, non è minimamente paragonabile all’odio e alla ten- sione che hanno segnato la brutta estate italiana che ci siamo appena lasciati alle spalle. L’odio non fa breccia Quali sono le ragioni di questa differenza, che sem- pre più si configura a livello europeo come un’ecce- zione? Perché l’odio non fa breccia che in modo marginale nella Germania odierna? La prima rispo- sta, come detto, va ricercata forse nella storia. La Germania risorta dalle macerie del Terzo Reich, sopravvissuta al terrorismo della Raf e agli anni di piombo, ha in sé più di altre nazioni gli anticorpi per resistere alla spirale cieca della violenza islami- sta e del razzismo. A Berlino, a Dresda, a Amburgo, a Stoccarda - città che solo pochi decenni fa erano un cumulo di macerie - sono ancora in pochi ad es- sere disposti a invertire l’orologio della storia, a subire il fascino del sangue e ad auspicare un ri- torno ai proclami di guerra e alle crociate. Ma non basta. Un altro punto fondamentale da ri- cordare, a mio avviso, anche in termini comparativi rispetto all’Italia e ad altri paesi dell’Europa orien- tale, dove le sirene dell’intolleranza trovano oggi orecchie più recettive, è che qui l’integrazione di milioni di cittadini di origine straniera è ormai un fatto compiuto da decenni, almeno nelle grandi città del Sud e dell’Ovest. Là dove la presenza è più recente, come nell’ex Ddr, servirà inevitabilmente più tempo, come d’altronde da noi in Italia. Non di- mentichiamo infine che ad Est, punto da non tra- scurare, i dati sulla povertà e sull’emarginazione sociale sono ancora assai più alti che in altre parti del paese, con il solito, triste profilarsi di una guerra fra poveri. Le paure dei tedeschi: una classifica Dati alla mano vediamo com’è articolata la società tedesca di oggi, dove la componente legata all’immi- grazione, come detto, è in continua crescita. Sono 18,6 milioni i residenti di origine straniera in Germa- nia, pari a oltre un quinto della popolazione totale, che ammonta a 81 milioni di individui. Si è avuto, a tal proposito, un aumento record nell’ultimo anno, il 2016: +8.5% secondo i dati dell’Ufficio statistico fe- derale, ovvero il più alto in oltre un decennio. Un fe- nomeno ancor più marcato nei grossi centri urbani dove le opportunità di impiego sono assai maggiori. Prendiamo ad esempio Stoccarda, dove l’anno prima, nel 2015 - e sono gli ultimi dati disponibili - il 42,2% dei residenti era di origine straniera, con punte del 58,2% per i minorenni. Numeri impor- tanti, tali da mutare profondamente il volto di una città, dalle scuole fino al lavoro e al tempo libero. Eppure, anche a livello di percezione diffusa, le città NOVEMBRE2017 MC 31 D © Arno Mikkor (EU 2017 EE) GERMANIA

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