Missioni Consolata - Novembre 2017

la preghiera cristiana amerà il dubbio non come si- stema, ma come condizione di purificazione e di fe- deltà. Paradossalmente il dubbio protegge Dio dal rischio di trasformarlo in «idolo». Nel nostro modo di pregare siamo talmente presi dalle «cose da dire» che non ci rendiamo conto di non lasciare alcuno spazio all’eco della Parola di Dio: siamo talmente occupati ad ascoltare quello che diciamo che non lasciamo tempo all’ascolto di Dio, il quale tace, rintanato in un cantuccio perché il nostro pregare è solo un cuore in un vuoto di cui forse abbiamo paura. Quando abbiamo la sensa- zione che Dio taccia, è segno che noi parliamo troppo. Nella celebrazione dell’Eucaristia sono molto importanti i momenti di silenzio, perché co- stituiscono la cassa di risonanza della Parola. Se le parole si accavallano, si inseguono con la fretta di giungere alla fine, abbiamo compiuto un rito, ma non abbiamo celebrato. La Parola senza il silenzio è un suono senza senso, perché il silenzio è la mèta della parola. La preghiera è comunicazione d’amore con una Persona che è il perno della vita: per questo deve essere centrata sulla stessa persona di Dio, come suggerisce l’inno trinitario all’inizio dell’Eucaristia, il Gloria a Dio . L’inno, databile sec. IV d.C., ha un an- damento tripartito perché si rivolge a Dio Padre, a Gesù Cristo, allo Spirito Santo: tutto in questa pre- ghiera, una delle più belle della liturgia di tutti i tempi, è centrato sulla Persona di Dio e costituisce così la preghiera « teo -logica» per eccellenza: «Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifi- chiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria im- mensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipo- tente». Cinque azioni espresse dai verbi per una sola ra- gione: «Per la tua gloria immensa». Quante volte siamo passati sopra a questo vertice/vortice da ca- pogiro e non ci siamo accorti di lambire il cuore stesso di Dio, mentre ci siamo affrettati a rotolare le parole senza nemmeno renderci conto del senso? Nella nostra chiesa, noi osserviamo, al modo monastico, una pausa di tre secondi ad ogni frase per permettere al cervello di assaporare l’irru- zione della gratuità di Dio, spezzando la fretta e co- stringendo la superficialità a gustare ogni parola / evento perché gli occhi che leggono abbiano il tempo di accorgersi di essere penetrati nella «teo- loghìa», divenuta afflato di preghiera e d’intimità senza tornaconto. «Per la tua gloria immensa», cioè per te stesso, perché meriti di essere il fine del desiderio dell’Assemblea, perché tu sei Dio e noi carne e sangue della tua divinità. La ragione del vi- vere e del pregare è «dare gloria» a Dio, che non si- gnifica cantare un canto, ma riconoscere la sua «gloria» nel senso ebraico del termine. KABÒD/DÒXA La «Kabòd» ebraica, che il greco traduce con «Dòxa», indica il «peso/la consistenza/la stabilità» di Dio. In al- tre parole «per la tua gloria immensa» significa pren- dere coscienza che Dio è il «valore/il peso» più impor- tante della vita del credente. Non è un caso che al tempo di Gesù il termine «Kabòd» fosse uno dei Nomi santi con cui si indicava Dio, in sostituzione del «santo tetragramma» Yhwh . Ne consegue che «per la tua glo- ria immensa» significa che preghiamo per lui, perché merita di essere il fine del desiderio dell’Assemblea, perché è Dio e noi carne e sangue della sua divinità. Non siamo «in» Chiesa per adempiere un dovere o ottemperare a un obbligo, ma «siamo Chiesa» per partecipare al banchetto dell’amore e lasciarci im- mergere nel pozzo della misericordia di Dio che è la sua Gloria, la sua Kabòd/Dòxa . Quando preghiamo, infatti, se preghiamo nello Spirito, noi siamo abitati da Dio che ci accoglie nella tenda del suo amore per svelarci il suo nome, il suo volto e il suo cuore. Pre- gare è vedere Dio che contempla noi. Questa pre- ghiera trasforma la nostra esistenza in Kabòd /Glo- ria di Dio. Come? Offrendo al Signore «presente, ma invisibile» tutto, istante dopo istante, ogni ge- sto, ogni scelta, ogni alito dell’esistenza, anche le cose più banali della nostra quotidianità (come fare la spesa, prendere un autobus, fare le pulizie in casa, studiare, preparare da mangiare o una le- zione) e tutte le mille azioni «inutili» che spesso buttiamo perché non vi prestiamo abbastanza at- tenzione, affinché tutto lui trasformi in benedizione sul mondo che egli ama alla follia (Gv 3,16), attra- verso di noi. Paolo Farinella, prete [9 – continua]. 26 MC NOVEMBRE2017 Insegnaci a pregare

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