Missioni Consolata - Novembre 2017

a Neddoto Negli anni del pre-concilio, la questione della validità della messa era diventata un’ossessione: bisognava es- sere in chiesa esattamente da quel momento «preciso», non un pelo di più non uno di meno, segno che ormai il legalismo aveva raggiunto le fibre profonde, corrom- pendo il cuore. a Genova, in una parrocchia della città alta, forse perché stanco di dovere richiamare «all’ob- bligo», vi fu un parroco che ebbe la stravagante idea di sistemare due semafori - sì, due semafori! - alla porta della chiesa, uno verde e uno rosso, comandati dall’al- tare. Quando iniziava la messa, il celebrante pigiava il pulsante verde per avvertire che la messa era iniziata e si poteva ancora entrare. al momento dell’«offertorio», un attimo prima dello svelamento del calice, attendeva ancora qualche secondo e poi «zac!», pigiava il pulsante rosso. da quel momento la messa non era più valida. eventuali ritardatari, erano fuori tempo massimo e dove- vano andare a cercarsi un’altra messa per «soddisfare il precetto». si poteva fare a meno della parola di dio, ma non del rituale, centrato tutto sul concetto di sacrificio. In questo contesto pregare non era più rapporto di vita, ma una sudditanza di paura, un pedaggio da assolvere, un obbligo dovuto: si offrivano a Dio una serie di gesti rituali (e formali), nemmeno «ben fatti», in cambio della sua benevolenza. Il campanello suonato due volte dal chierichetto aveva la funzione pedagogica di ricordare alla massa anonima presente passivamente che il prete era giunto a metà Messa (1° campanello) o alla comunione, cioè quasi alla fine (2° campa- nello). Del tutto assente la preghiera corale della Chiesa. Come meravigliarsi della secolarizzazione dei decenni successivi che spazzò questa parvenza di religiosità in un batter d’occhi come pula di- spersa dal vento? Eppure oggi sono in crescita gli adoratori di quel tempo che fu. Ciò che importava era la presenza «fisica» per il tempo necessario dell’obbligo o, come si diceva, del precetto, in at- tesa… che tutto finisse al più presto per riprendere la vita profana, lontano da Dio e… dai preti. Dio è un idolo? Spesso, nella concezione della preghiera ridotta esclusivamente a richiesta, riduciamo Dio a un «tappabuchi», per usare una magistrale definizione del grande teologo luterano Dietrich Bonhöffer ( Re- sistenza e resa: lettere e appunti dal carcere, Bom- piani, Milano 1969, 264). In altre parole ci atten- diamo da Dio che compia quanto noi non siamo in grado di realizzare, per cui domandiamo tutto: dalla pace alla salute, dalla riuscita di un esame o di un concorso ai numeri del lotto. Il Dio che pre- ghiamo è un idolo-giocattolo nelle nostre mani, un distributore automatico che risponde a gettone, se- condo le necessità e le urgenze, ogni qualvolta lo vogliamo noi. Eppure il salmista ci aveva messo in guardia da confondere il Dio dell’alleanza con gli idoli alienanti: «“Dov’è il loro Dio?”. 3 Il nostro Dio è nei cieli, tutto ciò che vuole, egli lo compie. 4 Gli idoli sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo. 5 Hanno bocca e non par- lano, hanno occhi e non vedono, 6 hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. 7 Le loro mani non palpano, i loro piedi non camminano; dalla loro gola non escono suoni» (Sal 115/114, 2-7; v. anche Sal 135/134, 15-17). Eppure non dovremmo essere impreparati, se aves- simo ascoltato i profeti che Dio, nella sua bontà aveva inviato alla sua Chiesa. Ne citiamo due soli nella marea di voci e di stili che hanno risuonato tra la fine del II e l’inizio del III millennio: don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, la cui profezia fu ri- conosciuta da un Papa in maniera formale e pub- blica, ammettendo così la responsabilità, se non la colpa, di chi li perseguitò in modo miope e sconsi- derato. Con loro si potrebbero citare p. Davide Ma- ria Turoldo e p. Camillo De Piaz, don Zeno Saltini di Nomadelfia, p. Ernesto Balducci, p. Aldo Bergama- schi, p. Giovanni Semeria e mille altri ancora, tutti colpiti o esiliati o ridotti al silenzio perché indica- vano la via del vangelo. N ota estemporaNea a latere Nel 2017, ricorrendo il 50° anniversario della morte di don lorenzo milani, vi fu un pullulare di celebrazioni, specialmente dopo il duplice viaggio di papa Francesco a Bozzolo di mantova e a Barbiana di Firenze (26 giugno 2017) per restituire la patente di ortodossia cattolica a due preti perseguitati dalla gerarchia del tempo: don primo mazzolari e don lorenzo milani. la retorica cele- brativa, ieri come oggi, è una costante sia nella società ci- vile sia ecclesiale: si celebrano entusiasticamente i «pro- feti morti», perché non possono dare più fastidio, mentre li si perseguita da vivi (cf lc 11,47). Nelle celebrazioni re- toriche del 2017, nessuno badò al fatto che i due preti, già negli anni ’50-’60 del secolo scorso avessero posto in evidenza il vuoto delle celebrazioni rituali che produce- vano solo disaffezione, allontanamento, disinteresse. specialmente don lorenzo milani con l’opera «espe- rienze pastorali», analisi spietata della realtà sacramen- tale del suo popolo che rispecchiava l’andazzo costante di tutta Italia e del mondo cattolico. Fu messo all’indice, non perché eretico, ma perché «inopportuno». oggi quell’opera è un documento profetico ancora valido. 24 MC NOVEMBRE2017 Insegnaci a pregare

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=