Missioni Consolata - Ottobre 2017
Situazione alimentare e migrazioni Lontano dalle città, dove non esistono supermer- cati e centri commerciali, ci sono i golmokjang (mercati contadini non autorizzati, ma tollerati), e i jangmadang (mercati contadini autorizzati). Le «Misure del 30 maggio», il pacchetto di riforme avviate da Kim Jong Un nel 2014, consentono ai contadini di trattenere tra il 30 e il 60% del raccolto per proprio consumo o per commercializzarlo, mentre ai dirigenti d’impresa vengono offerti forti incentivi sui profitti delle aziende statali. Questo ha permesso all’economia nordcoreana di riprendere vigore, tanto che recentemente in alcune contee questi jangmadang hanno iniziato a vendere anche piccoli animali d’allevamento, in particolare anatre, galline, maiali, conigli. Nelle campagne la terribile crisi degli anni Novanta è solo un ricordo ma il problema alimentare per- dura, anche se oggi non si muore più di fame, ma c’è malnutrizione e non si parla di disponibilità, ma di accessibilità al cibo. La produzione agricola è au- mentata, ma per sfamare i 25 milioni di abitanti, il paese deve importare ogni anno tra le 400 e le 500mila tonnellate di cibo, circa il 10% della necessità alimentare 6 , sotto forma di aiuti internazionali, il 75% dei quali giun- gono rispettivamente da Cina, Sud Co- rea, Stati Uniti e Giappone. Nulla di strano che le nazioni più ostili al go- verno nordcoreano siano anche le più generose nell’elargire gli aiuti: a nes- suno, infatti, gioverebbe un crollo im- provviso del regime, che porterebbe milioni di profughi a varcare il 38° parallelo per dirigersi a Sud o a inon- dare le aree cinesi a ridosso della frontiera settentrionale. «La Corea del Nord sta sfruttando questa paura di esodo biblico come “arma di migrazione di massa” per ottenere aiuti dall’estero», spiega Kelly Greenhill, professoressa alla Tufts University di Medford, Massa- chusetts, specializzata in politica dei flussi migratori. Un collasso improv- viso del regime porterebbe nei mesi immediatamente successivi 300.000 profughi in Sud Corea e Cina, mentre nel primo anno la migrazione interes- serebbe diversi milioni di nordco- reani 7 . Una cifra che terrorizza sia la Cina, ma anche, e soprattutto, la Co- rea del Sud, già alle prese con grossi problemi di inserimento dei 27.000 nordcoreani presenti sul suo terri- torio, molti dei quali devastati da problemi psicologici e dediti al cri- mine organizzato, all’alcolismo e alla droga 8 . In Cina, poi, la situazione è ancora peggiore: qui molti dei 100.000 rifu- giati nordcoreani sono visti come 40 MC OTTOBRE2017 D bassa manovalanza da sfruttare nei lavori meno gratificanti; nel peggiore dei casi, alcune delle ra- gazze hanno terminato il loro viaggio in bordelli ge- stiti da bande sino-coreane. La versione ufficiale della Corea del Nord nei con- fronti di questi cittadini fuggiti dal loro paese è che siano «terroristi che si oppongono al sistema so- ciale della Dprk (acronimo inglese per «Repubblica democratica popolare di Corea», ndr ), paese in cui i cittadini godono di una vita genuina e felice» 9 . Naturalmente ben pochi a Nord del 38° parallelo sono ancora convinti di vivere in un paradiso, ma l’osmosi di notizie tra Nord e Sud ha anche cam- biato la visione del mondo di molti nordcoreani. I talbukja , letteralmente «coloro che sono scappati dal Nord», nonostante le difficoltà rimangono in contatto con le loro famiglie e questo ha permesso di sfatare alcuni dei miti che rendevano Cina e Sud Corea delle mete incantate e ineffabili. Questa disillusione, accompagnata anche dal sensi- bile miglioramento delle condizioni di vita regi- strato dai primi anni Duemila, ha fatto sì che le fu- ghe, oggi principalmente dovute a motivi econo- mici più che politici, si siano ridotte. I rapporti economici con Cina e Russia e le sanzioni internazionali Secondo il ministero dell’Unificazione della Corea del Sud, il 48,4% dei nordco- reani che nel 2014 si erano trasferiti al Sud erano disoccupati 10 . Per arrestare questa emorragia di giovani lavoratori (il 58,2% aveva tra i 20 e i 39 anni) 11 Pyongyang deve trovare il modo di mi- gliorare la propria economia e, soprat- tutto, modernizzare le proprie infra- strutture. Alle strade, porti, macchinari industriali fatiscenti e obsoleti si ag- giungono frequenti interruzioni di ener- gia elettrica che mantengono le compa- gnie straniere lontane dall’altrimenti allettante mercato nordcoreano. Nel paese ci sono una trentina di aziende europee e, secondo un rap- porto della Samsung Economic Re- search Institute , il governo ha commis- sionato alla Cina la costruzione e la ristrutturazione di impianti e servizi per 6,5 miliardi di dollari. Gli investi- menti stranieri, che nel 2010 am- montavano a 1,475 miliardi di dollari, sono destinati ad aumentare, ma sino a quando la nazione asiatica non stabilizzerà le proprie leggi sul lavoro non sono molte le industrie in- tenzionate a concludere affari con Pyongyang. «Guarda l’hotel Ryugyong», mi dice un membro di una delegazione euro- pea in visita nel paese indicandomi l’e- dificio di 330 metri che avrebbe dovuto essere completato sin dal 1989 per dive- © Dimitri dF, 2014
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