Missioni Consolata - Ottobre 2017

ferma nel discorso della montagna, cioè nel pro- gramma costituzionale del suo regno: « 5 E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pre- gare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 6 Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. 7 Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di ve- nire ascoltati a forza di parole. 8 Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete biso- gno prima ancora che gliele chiediate» (Mt 6,5-8). Per il Vangelo, la preghiera non ama l’ostentazione, la finzione e lo spreco di parole, tre tentazioni che oggi abbondano e circondano peggio dei «grossi tori di Basan». Il modello mediatico impone di por- tare sempre e comunque una maschera per esporsi al pubblico nelle vesti di qualcuno che non si è, in quanto vale solo ciò che appare, come in certi can- delieri di legno liguri che, per risparmiare, erano di- pinti in oro solo dalla metà che era esposta al pub- blico - la parte in vista - mentre la parte rivolta al- l’altare era lasciata grezza. Il modello scandaloso Il modello di preghiera che presenta Gesù è scanda- loso e irritante per la cultura e la religione del suo tempo: una donna, per giunta vedova, quanto di più insignificante e inconsistente si potesse imma- ginare. Essa è l’emblema della emarginazione asso- luta, insieme agli orfani e ai menomati (ciechi, zoppi, storpi, lebbrosi), in una parola «poveri». Ep- pure la fortezza della «nullità» della vedova è la consapevolezza del suo diritto. Ella non si rassegna e non fugge, deve lottare e quindi non depone le armi, perché, decisa, si attesta nel cuore della bat- taglia, alle falde della verità e inchioda il giudice a compiere il suo dovere. È qui l’attuazione concreta del principio paolino: «Quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ri- durre al nulla le cose che sono» (1Cor 1,27-28). Alla luce di questo contesto, pregare vuol dire en- trare nella logica del regno di Dio e capovolgere le prospettive del mondo perché tutto e ogni singola persona o avvenimento abbia un senso e lo abbia pieno. Se ognuno di noi è parte essenziale del re- gno di Dio, vuol dire che ne è anche responsabile e co-artefice. Nella prospettiva del regno, il nuovo modo di vivere le relazioni umane, instaurato da Gesù, pregare è riconoscere la signoria di Dio sulla propria vita e quindi affermare la propria dignità di liberi figli del Creatore e riconoscere a tutti gli altri la stessa dignità. La preghiera, perciò, diventa un processo di cre- scita, un percorso di armonia che conduce alla ma- turità e quindi a una relazione affettiva con Dio, dove non conta più la modalità tecnica, ma unica- mente la qualità del rapporto che si esprime in tutta l’ampiezza della gamma di una relazione d’a- more, perché coinvolge i sensi, l’immaginazione, i sentimenti, la paura, i dubbi, la fatica, la tensione, la stanchezza, il bisogno di solitudine, la parola, il si- lenzio, il grido, l’angoscia, la gioia, l’abbandono, l’e- vasione e tutti gli sbalzi umorali a cui può essere as- soggettato l’animo di una persona normale. MC R OTTOBRE2017 MC 33 © Makori |The Seed

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