Missioni Consolata - Ottobre 2017

Insegnaci a pregare In questo senso l’espressione evangelica di Luca dice che bisogna pregare «mentre» si lotta. Du- rante la lotta bisogna intensificare la preghiera per avere la forza di continuare a lottare e non lasciarsi prendere dallo scoraggiamento depressivo fino al punto di disertare dalla vita, dall’impegno, dalla fa- tica di affrontare le difficoltà. Pregare, allora, signi- fica immergersi nella vita con tutte le sue contrad- dizioni, sapendo che non siamo soli. Ci è vietata solo la diserzione, che può essere proprio il rifu- giarsi nella preghiera parolaia, una macina a vuoto di vuote parole che ci illudono. In questo senso Lc è in sintonia con Mt quando nel «Padre nostro», invoca «non abbandonarci alla tentazione» (Mt 6,13), cioè nel cuore della lotta. «AllA» o «nellA» tentAzione? in greco c’è la preposizione «eis» che non indica solo di- rezione (verso la - alla ) ma con-penetrazione/con-tocca- mento (dentro - nella ) che esige un contatto. Forse non esiste una traduzione corretta in assoluto: non abbando- narci «alla tentazione» può significare ogni volta che si presenta la tentazione; «nella tentazione» può indicare una forma permanente di tentazione (vedi l’esigenza di «pregare per non cadere in tentazione» - Mt 26.41). Che si usi una traduzione o l’altra, il significato potrebbe es- sere parafrasato con «non abbandonarci “mai” perché viviamo in uno stato permanente di tentazione». Qui trova anche fondamento cristiano la tradizione rabbinica che esige l’amore di Dio «anche con la tendenza al male» (v. puntata 6a commento allo Shemà’ Israel ), invocando il dono della fortezza per reggere gli assalti del male che come grossi «tori di Basan [ci] circondano… ci accerchiano» (Sal 22/21,13) per farci venire meno e disertare dal- l’impegno dell’alleanza. A Giovanni Vannucci (1913-1984), biblista profeta dell’Ordine dei Servi di Maria del secolo XX, fa eco un grande teologo e filosofo suo contemporaneo, padre Ernesto Balducci (1922-1992) dell’Ordine degli Scolopi, che commentando il brano lucano af- ferma lucidamente: «A chi vive, come noi viviamo, ad un certo livello di cul- tura, non è più lecito pregare con innocenza. Che vo- glio dire? Voglio dire che la preghiera, come invoca- zione a Dio, come appello a Dio, e di questo ci parla la Scrittura di oggi, per essere autentica, presuppone che si sia messo in opera tutto quello che è nelle nostre possibilità per realizzare l’obiettivo che riteniamo buono e necessario. Se noi preghiamo invece che ope- rare, se noi preghiamo invece che cercare l’efficacia del nostro operare, non c’è dubbio che la preghiera va incontro alle nostre accidie e alle nostre inadempienze, presume di riempire i vuoti della nostra umanità. E sic- come in un mondo qual è il nostro, generalmente colto, la consapevolezza delle ragioni delle ingiustizie, dei soggetti storici che ne portano la responsabilità, è viva e presente, pregare perché avvenga la giustizia nel mondo è atto ambiguo o, a volte, addirittura iniquo se si accompagna al disimpegno. Ecco perché è difficile che la nostra preghiera sia innocente. Essa porta su di sé i riflessi oscuri delle nostre complicità con le cause di quel male che vorremmo eliminato da questo mondo. È come quando, in certe comunità che io ho frequentato, si faceva la preghiera per i poveri. Si trattava di comu- nità strutturalmente solidali con il mondo dei ricchi e quindi impegnate a mantenere le condizioni che favori- scono la divisione del mondo fra ricchi e poveri e che poi si costruivano per l’occasione una buona coscienza con la preghiera periodica per i poveri» (Ernesto Bal- ducci, Il Mandorlo e il Fuoco , Borla, Roma 1979, 344). Nel cuore della lotta Pregare nel cuore della lotta, dunque, senza diser- zione! Quanta distanza dalle preghiere meccaniche macina-vuote-parole, ripetitive e distratte, staccate dal corpo, dall’anima e dalla stessa realtà. Dice pa- dre Balducci che è difficile che la «nostra preghiera sia innocente» perché per essere tale deve essere la coscienza della «sapienza» della nostra identità: chi sono io che in questo momento «presumo» di pregare? «Dove» sto per essere certo di pregare? Qual è il mio rapporto con il dramma della fame, della morte di gran parte dell’umanità, cioè di carne di Dio perché suoi figli e mia perché fratelli e sorelle? Qual è il grado di complicità mio nel soste- nere la struttura dell’ingiustizia di questo mondo che trangugia i deboli e osanna i potenti? Quale consapevolezza ne ho, mentre dico di pregare? Sono sicuro che quel Dio che io penso di pregare non sia lo stesso che parlò agli Ebrei del secolo VIII a.C. per mezzo del profeta Isaia? Che disse: « 11 Perché mi offrite i vostri sacrifici senza numero? - dice il Signore. Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di pingui vitelli. Il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. 12 Quando venite a presen- tarvi a me, chi richiede a voi questo: che veniate a cal- pestare i miei atri? 13 Smettete di presentare offerte inutili; l’incenso per me è un abominio, i noviluni, i sa- bati e le assemblee sacre: non posso sopportare delitto e solennità. 14 Io detesto i vostri noviluni e le vostre fe- ste; per me sono un peso, sono stanco di sopportarli. 15 Quando stendete le mani, io distolgo gli occhi da voi. Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei: le vostre mani grondano sangue. 16 Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, 17 imparate a fare il bene, cer- cate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova» (Is 1,11-17). C’è, dunque, fin dai tempi remoti, una preghiera che può non essere esaudita e non lo dice solo il profeta Isaia, ma lo conferma anche Gesù: «Dai loro frutti dunque li riconoscerete. Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,20-21). Da ciò è chiaro che pregare è direttamente proporzionale alla volontà di Dio. Quando mai, pregando, ci siamo chiesti in che rap- porto fossimo con la volontà di Dio su di noi o in che modo la nostra vita esprimesse il rapporto con essa? La preghiera ha regole serie che non possono essere espunte o disattese, come lo stesso Gesù af- 32 MC OTTOBRE2017

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