Missioni Consolata - Ottobre 2017
N ella puntata precedente avevamo citato due esempi di preghiera, Mosè, il pa- triarca e profeta che con le mani alzate sconfigge Amalèk (cf Es 17,9-13) e la ve- dova del Vangelo di Luca che pretende giustizia da un giudice «che non temeva Dio» (Lc 18,1-8). Ab- biamo esaminato per sommi capi la preghiera del gigante dell’AT, ora ci apprestiamo a considerare la vedova protagonista della «parabola sulla neces- sità di pregare sempre, senza mai stancarsi» (Lc 18,1). Due figure, un uomo e una donna, il più grande profeta della storia della salvezza, e una popolana, per giunta anonima, ma qualificata come «vedova», cioè un’emarginata della società. Preghiera innocente o colpevole La parabola della vedova e del «giudice che non te- meva Dio» si trova in Lc 18,1-8 ed è esclusiva del terzo Vangelo dal momento che è assente negli al- tri. Il capitolo precedente, Lc 17, si chiude con la descrizione della fine del mondo e l’irruzione di Dio Giudice: la vedova e l’invito alla preghiera, quindi, devono essere letti in questo orizzonte escatolo- gico che ruota attorno al tema della «Giustizia». Non si tratta di giustizia giuridica, da tribunale, ma di quell’attitudine radicale, interiore che, sola, può provocare lo svelamento delle ragioni e delle moti- vazioni che stanno al fondo delle scelte di ciascuno. Nelle parole di Gesù si staglia potente la figura di una povera vedova che, forte del suo diritto, sta ritta davanti al giudice, forse corrotto. Nel rileggere la parabola, occorre superare un equivoco gene- rato dalla traduzione italiana. L’ultima versione della Bibbia Cei-2008 parla di «parabola…sulla ne- cessità di pregare sempre, senza stancarsi mai » (Lc 18,1). Nella precedente edizione del 1974, la stessa Bibbia-Cei ometteva l’avverbio di tempo «mai». Il testo greco dice «to dêin pàntote prosèuchesthai autoùs kài mê enkakêin», che tradotto alla lettera può essere reso così, sapendo che ogni traduttore è sempre un po’ traditore: «Sull’essere necessario sempre che essi preghino e non disertino/vengano meno/depongano le armi ». L’espressione «non ven- gano meno» ha quindi il senso di «non si ritirino», cioè «non si rassegnino». Il verbo «enkakèō / ekka kèō» ha il significato di «agire male / stancarsi / ve- nire meno / scoraggiarsi / perdersi d’animo». L’e- spressione si riferisce al militare che abbandona la Insegnaci a pregare COSÌ STA SCRITTO di Paolo Farinella, prete 8. Pregare nel cuore della lotta OTTOBRE2017 MC 31 © Omwoyo \ The Seed lotta perché non gli importa più nulla di niente, quasi che, di fronte al pericolo, dicesse: ma chi me lo fa fare? A quale scopo? A riguardo scrive il bibli- sta Giovanni Vannucci: «“Senza stancarsi” è la debole e vaga traduzione di un’espressione greca che significa l’abbandono delle armi fatto da un soldato ignavo durante il combatti- mento; potremmo rendere meglio il testo originale tra- ducendo “senza abbandonare le armi”, “senza diser- tare”; l’esaudimento della preghiera dipende dalla diffi- coltà inerente al cammino della preghiera» (Giovanni Vannucci, La vita senza fine ; Servitium editrice, Milano 2012, 205).
RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=