Missioni Consolata - Giugno 2017

zione di Dio che non può vivere senza «vedere» l’Assemblea orante. Qui è il fondamento ecclesiale della preghiera. Ci si riunisce in Assemblea liturgica perché essa è il volto che Dio anela contemplare, e solo in essa riceviamo la grande opera buona della Parola-Carne che noi restituiamo a Dio che la ri- dona a noi in benedizione e forza di vita. Altro che accendere una candela o recitare uno stiracchiato «Pater» o dire un miserevole e distratto «Rosario», doveri devozionali più che esigenze di vita. L’esperienza di Mosè e il Targùm a Ct ci dicono che se, come i Greci di Gv 12,20-21, «vogliamo vedere Gesù», dobbiamo uscire dal mondo materialista della religione in cui siamo impigliati e di cui forse siamo schiavi, per salire in alto sulla montagna di Dio, dove trovare la fenditura nella rupe da cui ascoltare Dio che chiede di sentire la voce nella no- stra preghiera. La prima missione con e per il Ri- sorto, in un mondo distratto e frastornato, è la pre- ghiera: non preoccupiamoci tanto di «vedere» Dio o di chiedere soluzioni ai problemi della vita perché «il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bi- sogno» (Mt 6,32), quanto piuttosto di lasciarci ve- dere da Dio, dandogli la gioia di poterci contem- plare mentre preghiamo, mentre dichiariamo il no- stro amore e condividiamo la nostra passione nella Santa Assemblea. In un contesto come quello del mondo odierno, dove l’efficienza è il mòloch della modernità, i testi- moni diventano l’uomo e la donna che pregano, cioè coloro che sanno e vogliono perdere tempo in una duplice direzione: davanti a Dio e davanti agli uomini e alle donne di oggi. Pregare è perdere tempo per Dio e per l’umanità , esperienza che solo gli innamorati sanno comprendere perché sono gli unici che sanno perdere tempo per amore, con amore e nell’amore, ben sapendo che non è mai «tempo perso». C’è una differenza abissale tra «perdere tempo» e «tempo perso». Il primo è at- teggiamento attivo, scelta motivata dalla presenza di un altro che è il senso e la pienezza della propria esistenza; il secondo è passivo e quindi subito, spesso senza coscienza e con distrazione. Chi ama perde tempo, ma non si perde mai. Nella prossima puntata, approfondiremo lo « Shemà’ Israel » come preghiera di Dio al suo po- polo e la forma della preghiera ebraica che riesce a sintetizzare lontananza e vicinanza di Dio anche nelle formule oranti, così come sono state scoperte negli scavi vicino a una sinagoga del Cairo, in Egitto. Paolo Farinella, prete [5 continua]. 34 MC GIUGNO2017 Insegnaci a pregare N ella Chiesa cattolica ogni dome- nica si celebra l’Eucaristia, cui partecipa una parte non rile- vante del popolo dei battezzati, nella stragrande maggioranza formata da persone anziane. In alcune chiese si trovano «messe a ogni ora» o quasi e tutte sono identiche, parte di una rou- tine abitudinaria che si snoda nel tempo, nei mesi, negli anni, nei secoli. Eterno ritorno di un dovere da com- piere, senza alcun anelito e aspetta- tiva. Più un obbligo giuridico, da codice canonico che un’esigenza esistenziale di vita, un bisogno insopprimibile dello Spirito. «Finita la Messa», quasi un pe- daggio da pagare, si ritorna agli affari della vita, come prima. Nulla è cam- biato, tutto si ripete. L’Eucaristia, il «mistero» di Dio e della Chiesa, è ri- dotto a pratica di devozione e precetto obbligatorio. Pochi si rendono conto di cosa accade «prima, durante e dopo» l’Eucaristia. Proviamo a capire cosa do- vrebbe essere per un credente. L’Eucaristia è una convocazione dello Spirito che raduna l’Assemblea al monte della Parola (cf Is 2,1-5), simbo- leggiato dall’altare, a sua volta segno di Cristo risorto. La convocazione esige un’adesione, una risposta perché siamo nel contesto vocazionale: l’Eu- caristia è la risposta alla chiamata, alla vocazione profetica di rispondere al Dio che convoca. Nessuno prende l’ini- ziativa da sé, ma, rispondendo all’ane- lito di Dio che ha bisogno di «vederci e sentirci», ognuno parte dalla propria diaspora, dalla propria individualità e s’incammina verso «il raduno storico ed escatologico» che si realizza at- torno alla mensa imbandita, dove sono pronti la Parola, il Pane, il Vino, la Fraternità, la Profezia, la Storia. Ri- spondendo alla chiamata di Dio che convoca all’Eucaristia, diventiamo compimento della profezia di Eze- chiele, perché a noi sono rivolte le pa- role del disegno di Dio: « 24 Vi prenderò dalle nazioni, vi radu- nerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. 25 Vi aspergerò con ac- qua pura e sarete purificati; io vi pu- rificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli, 26 vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne» (Ez 36,24-26). Non si partecipa all’Eucaristia per adempiere un precetto o peggio an- cora «per non fare peccato», ma per essere simbolo e segno del raduno delle genti e del desiderio di Dio di santificare il suo Nome, annunziando davanti al mondo la santità di Dio, cioè la sua natura di Dio amante: « 23 Santificherò il mio nome grande, profanato fra le nazioni, profanato da voi in mezzo a loro. Allora le na- zioni sapranno che io sono il Signore - oracolo del Signore Dio -, quando mostrerò la mia santità in voi da- vanti ai loro occhi» (Ez 36,23). Ogni credente consapevole, nel giorno del Signore, rispondendo al Dio che convoca, come Abramo, lascia la pro- pria casa, la propria solitudine e le cose; e «parte» (Gen 12,1-4) verso il luogo del raduno, nuova terra pro- messa, dove si compie l’evento spon- sale tra Dio/Sposo fremente di deside- rio di «vedere e ascoltare» l’Assem- blea/Sposa, ardente di essere amata. La Parola di Dio proclamata diventa così la Profezia rinnovata e annunziata al mondo, il Pane e il Vino diventano i segni della fragilità e della comunione, la fraternità assume la caratteristica di un «testamento» dichiarato e firmato davanti all’umanità distratta da altri in- teressi e nella quale siamo chiamati a ritornare per essere lievito, sale, luce, in una parola testimoni. APPLICAZIONE ECCLESIALE: EUCARISTIA DAL MISTERO ALLA BANALITÀ

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