Missioni Consolata - Maggio 2017

dire: «Ho un appuntamento con Minà». Qualcuno prote- stò. Intanto il telegiornale chiedeva la linea. Mi fermarono e allora io suggerii a Maradona di rispondere a due do- mande del collega Giampiero Galeazzi. Poi attesi per avere la disponibilità della saletta. «Non c’è problema, aspettiamo», disse Diego. Non sapeva ancora che cinque giorni dopo l’arbitro messicano Codesal - su sollecita- zione, nemmeno tanto nascosta, del presidente brasiliano della Fifa Havelange -, gli avrebbe negato la vittoria nella finale, inventandosi un rigore inesistente (tirato da Brehme) e regalando il mondiale alla Germania del com- missiario tecnico Beckenbauer. P er Maradona cominciarono gli anni bui. Qualche contratto frutto della sua fama (come con il Siviglia o il Boca Juniors, il club del suo cuore) lo aveva fatto sopravvivere ai suoi incontri con la cocaina. Da questa di- pendenza è uscito con un grande sacrificio curandosi per mesi a Cuba (inizi del 2000), dopo un invito personale del presidente Fidel Castro che aveva spiegato: «Questo ra- gazzo che ha dato tanto al football e all’allegria dei tifosi di questo sport è venuto a chiedere aiuto per la sua sa- lute. Stupisce che pochi gli abbiano voluto dare una mano. Visto che non ci ha pensato il mondo del mercato, lo facciamo noi». Maradona rimase a Cuba per molte settimane e riuscì a disintossicarsi. Il Comandante Fidel lo andava a trovare spesso. Chiacchieravano molto e mi piace pensare che il suo impegno politico, vivo da tempo, sia maturato in quella stagione difficile. Diego, unico fra i grandi calciatori e atleti, aveva avuto il coraggio di esprimersi in politica mettendo la faccia in eventi mondiali. Uno di questi era stata la carovana da Buenos Aires a Mar del Plata nel 2005 contro l’«Alca», il modello economico neoliberista che gli Stati Uniti volevano imporre a tutto il continente. In contrapposizione c’era l’«Alba», la neonata associa- zione dei governi progressisti latinoamericani, ideata dal presidente venezuelano Hugo Chávez assieme a Fidel Ca- stro, ma appoggiata anche da altri leader come il brasi- liano Lula, il boliviano Evo Morales e da intellettuali come il premio Nobel per la pace l’argentino Adolfo Pérez Esquivel e il cantautore cubano Silvio Rodríguez. Fu pro- babilmente quella famosa manifestazione, nata in opposi- zione al presidente nordamericano Bush, a ribadire l’inco- municabilità fra il campione e gli Stati Uniti. D ieci anni prima (1994), Diego era stato sospeso, senza possibilità di difesa, dal mondiale americano ufficialmente per aver fatto uso di una pastiglia a base di efedrina, assunta per curare un’influenza. Il vice- presidente latinoamericano della Fifa, Grondona, che era anche il presidente dell’Afa, la Federazione argentina del calcio, non si era affannato nemmeno ad affrontare la sua difesa ritirandolo dalla competizione e togliendo quindi agli Stati Uniti l’imbarazzo di dover giudicare il campione che già volevano eliminare alla vigilia della manifesta- zione perché pubblico consumatore di cocaina. Un atteg- giamento fariseo considerato che gli Stati Uniti hanno più di 10 milioni di consumatori e sono i massimi importatori mondiali di questa droga. L’odissea di Maradona con la coca finirà nel 2005 con un intervento in Colombia di by-pass gastrico per la riduzione dello stomaco che gli farà perdere più di 40 chili. È palese che il più grande calciatore mai nato è stato un uomo complesso che spesso non ha saputo le- varsi di torno i suoi sfruttatori e il contraddittorio mondo dell’industria del calcio. Nel 2010, per esempio, dopo i suoi anni burrascosi, fu chiamato a svolgere l’incarico di commissario tecnico della nazionale argentina ai mondiali sudafricani. Era un risarcimento. Arrivò ai quarti di finale, con la squa- dra che aveva, buona, ma non eccezionale, malgrado gio- vani talenti in maturazione come Messi, Di Maria, Ma- scherano e suo genero Aguero. Così perse contro la Ger- mania, ma invece di elogiarlo i saccenti giornalisti italiani del settore lo riempirono nuovamente di stucchevoli criti- che e di insulti. Non solo: per quasi 30 anni Equitalia l’ha perseguitato per frode fiscale chiedendogli una cifra che aumentava ogni anno (per mora, interessi di mora e san- zioni) fino a rasentare i 40 milioni di euro. L’agenzia non accettava l’idea che Diego potesse avere un doppio con- tratto, uno come calciatore e uno come testimonial pub- blicitario, identicamente ai suoi compagni di squadra, i brasiliani Careca e Alemão, e ad altri fuoriclasse come Totti e Del Piero. Perché quello permesso ad altri prota- gonisti del calcio di casa nostra era, secondo Equitalia, proibito a Maradona? Diego è stato perseguitato in modo sconcertante. Una volta, non tanti anni fa, lo aspettai a fianco di 40 guardie di finanza all’aeroporto di Fiumicino. Forse erano lì perché (finalmente) qualcuno a Equitalia si era accorto di una realtà elementare, cioè che Maradona non aveva mai ricevuto alcuna «comunicazione di reato» (non essendo più residente in Italia), un reato che oltre- tutto non aveva commesso. C’era probabilmente qual- cuno che sul caso Maradona avrebbe voluto far carriera. Ma non ce l’ha fatta. Recentemente - con molti, troppi anni di ritardo - Equitalia ha dovuto riconoscere il suo er- rore grazie alla testardaggine di Angelo Pisani, avvocato di Scampia e difensore di Maradona. E così quel cocciuto di Diego a breve dovrebbe vedere premiata la sua resi- stenza. Quando arrivò per la prima volta in Italia si era limitato a palleggiare davanti a uno stadio zeppo (5 luglio 1984). Molti anni dopo (9 giugno 2005), nella partita di addio al calcio di Ciro Ferrara, dovette trovare scampo nella buca che portava agli spogliatoi per sfuggire al travolgente af- fetto dei tifosi. Dopo l’omaggio che la città gli ha tributato recentemente (16 gennaio 2017) per iniziativa dell’attore Alessandro Siani che ha affittato il Teatro San Carlo per accoglierlo, è probabile che chi vorrà ancora omaggiarlo dovrà utilizzare lo stadio di Fuorigrotta, terreno com- preso. Intanto ci ha pensato un altro argentino a convocarlo: papa Francesco, per la partita della pace (12 ottobre 2016). Dopo averlo incontrato per una visita assoluta- mente privata, il papa ha ripetuto una sua massima: «Chi sono io per giudicare qualcuno?». No, Maradona non è mai stato un uomo comune. Gianni Minà Persone che conosco MC R 82 MC MAGGIO2017

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=