Missioni Consolata - Maggio 2017
© Af MC piango, in cui posso sbagliare e correggermi. La- voro nell’animazione missionaria tra i giovani e sono cappellano all’ospedale di Casatenovo. Lavorare con i ragazzi significa essere sempre disponibile per ascoltare, dialogare, accompa- gnare, condividere la Parola di Dio, abbracciarsi e cercare risposte alle domande quotidiane. In ospedale invece bisogna avvicinare una per- sona che soffre anche solo per dirle: ”Forza, ce la farai”, oppure per darle un bicchiere d’acqua. Chiamarla con il suo nome e non con il numero della stanza (cosa che implica a volte di dire un nome per un altro). Ascoltarla quando ti confida con occhi brillanti che il giorno seguente sarà di- messa, rispettarne il silenzio quando non vuole parlare e rattristarsi quando non ce la fa, offrire una preghiera per lei. La soddisfazione più grande è pronunciare le pa- role della consacrazione a messa. Poter dire a qualcuno: “Dio ti benedica”, mi commuove». Puoi raccontare un episodio significativo della tua vita missionaria? «Una volta ho chiesto a un amico richiedente asilo di venire a parlare a un gruppo di ragazzi delle medie in una parrocchia qui vicino. Sono ri- masto sorpreso dall’attenzione, rispetto e deli- catezza con cui hanno posto le loro domande e ancora di più dal fatto che a tre mesi di distanza chiedono ancora di lui, se ha trovato lavoro, ot- tenuto il permesso di soggiorno, se pensa di tor- nare al suo paese. I bambini sono proprio santi». Quali sono le sfide della missione del futuro? Come pensi di affrontarle nel tuo ambiente? «Penso che la chiesa debba fare i conti con la se- colarizzazione. Prima tutti credevano e i valori della chiesa erano gli stessi della società. Oggi invece la società sembra mettere in discussione i valori etici e proclamarne di opposti. In secondo luogo dovrà gestire la questione della famiglia. Bisognerà definire questo termine alla luce dei recenti cambiamenti e scelte politiche. Credo che la chiesa debba fare un grande salto per co- involgere sempre di più i laici. Infine fare i conti con la convivenza con altre religioni, come vi- vere la fede all’interno di questa pluralità. In concreto penso di affrontare questo nel mio ambiente, rimanendo aperto al dialogo e all’an- nuncio. Nel nostro piccolo dobbiamo ricordarci che la chiesa è di Cristo e che il suo futuro, il mio e il tuo, è nelle mani del Signore che ha pro- messo di stare con noi fino alla fine dei tempi». Che cosa possiamo offrire al mondo come missionari della Consolata? «La nostra congregazione è stata fondata per l’Etiopia. Era il sogno dell’Allamano. Oggi quel paese è diventato il mondo. Essa ci insegna a camminare con il tempo. Ha allargato l’orizzonte e tenta di rispondere al grido del mondo at- tuale. È una congregazione multiculturale e ciò testimonia che la diversità è ricchezza ed evan- gelizzazione. Inoltre siamo eucaristici e mariani dentro un mondo frettoloso e rumoroso. Ab- biamo un’attenzione verso il povero, l’emargi- nato, il migrante. Siamo in un mondo in cui tutto viene fatto sotto i riflettori, ma il bene non deve fare rumore si fa perché è bello farlo!». Cosa dovremmo fare, secondo te, per avere più impatto nel mondo giovanile? «Penso che si debba assecondare ogni proposta valida dei ragazzi e cercare di stare loro vicini. Dimostrare che ogni loro opinione è importante e preziosa e che la porta è aperta a qualunque orario. Bisognerebbe seguire il mondo giovanile anche tra i banchi di scuola». Che frase, slogan, citazione proporresti ai gio- vani che si avvicinano ai nostri centri, e perché? «Prendo la frase contenuta nell’episodio del buon Samaritano: “Va! E anche tu fa lo stesso!”, perché Gesù non si ferma alle parole, ma affida un compito. Le parole servono fino ad un certo punto, esse devono poi lasciare spazio al fare, vivere e amare». Ilaria Ravasi AMICO.RIVISTAMISSIONICONSOLATA.IT MAGGIO2017 amico 75 © Af MC
RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=