Missioni Consolata - Maggio 2017

Nello stesso anno sono stato destinato in Italia dove ho studiato teologia alla pontificia università Ur- baniana. Nel 2011/2012 ho fatto un anno di servizio a Bedizzole (Brescia), finito il quale sono stato destinato a Bevera, dove ho iniziato la specializzazione in teolo- gia morale e ho fatto an- che i voti finali nel 2012. Nel 2013 sono diventato diacono e il 30 agosto 2014 sono stato ordinato in Kenya insieme ad altri dieci confratelli. È il dono più grande che io abbia mai ricevuto». Puoi dire due parole sul paese in cui ti trovi oggi? Quali sono le sue sfide missionarie? «L’Italia è un grande dono per me e per tutte le persone che hanno potuto entrare in questa terra. Noto con piacere il valore del volontariato presente in tutte le stagioni della vita. La forte accoglienza di tutti coloro che bussano alla porta della Penisola mi commuove. L’Italia è una democrazia con alleanze che si creano distrug- gono e poi si ricreano senza mai arrivare alla guerra. Ed è un grande esempio per me. Inoltre apprezzo la convivenza pacifica tra il cattolice- simo e la vita politica del paese. Penso che la sfida principale della missione in Italia consista nel trovare un nuovo linguaggio per parlare a chi non crede o a coloro che non sanno a chi o cosa prestare la loro fede. Bisogna trovare un nuovo modo per fare innamorare le persone della chiesa. Perché spesso, chi si trova in crisi spirituale, non fa fatica a credere in Dio, fa fatica a credere nella chiesa». Che lavoro stai svolgendo oggi? Quali sono le difficoltà e soddisfazioni che incontri? «Lavoro a Bevera, il luogo che mi ha accolto da seminarista e da prete. Posto in cui rido, a volte Perché hai deciso di diventare missionario e, soprattutto, perché della Consolata? «Ho come modello il mio parroco missionario proveniente dall’Irlanda. Mi colpiva sentirlo par- lare e vederlo presente nelle nostre umili case, tra gli ammalati, nelle scuole, nei dispensari. Mi sono sentito attratto da quello stile di vita come da una calamita. Ho scelto poi la strada dei mis- sionari della Consolata perché un mio amico mi aveva dato una copia della loro rivista The Seed . Lì si raccontava di una missione e l’articolo ter- minava con un invito ai giovani di dare una mano. Cominciai così a scrivere a un missionario. Il padre rispondeva alle mie curiosità e mi po- neva domande molto specifiche e personali che implicavano una risposta seria. Così mi sono in- namorato della Consolata e alla fine del liceo sono stato invitato per una convivenza con altri aspiranti missionari. Lì ho compreso che il Si- gnore mi chiamava nell’Imc». Puoi raccontare il tuo cammino nell’Imc? «Nel 2003 ho iniziato l’anno di studi propedeu- tici in Uganda. È stata un’esperienza forte per due motivi: era il primo anno di seminario e la prima volta che vivevo lontano dai miei. Era- vamo otto ragazzi. In seguito tutto il gruppo ha continuato con lo studio della filosofia in Kenya per quattro anni. Nell’anno 2007/2008 ho fatto il noviziato e nel 2008 la professione temporanea. di Ilaria Ravasi Parole di corsa Va, anche tu fa lo stesso 74 amico MAGGIO2017 Nato in Kenya, a Siaya, provincia del Nyanza, nel 1982, da genitori cristiani impe- gnati nella chiesa locale, Nicholas Omondi, quinto di otto figli, oggi è padre mis- sionario della Consolata a Bevera (Lecco), dove la- vora con i giovani e gli ammalati. © Af MC

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