Missioni Consolata - Maggio 2017
NOTA MAGICO-TEOLOGICA Si pone un problema di ordine teologico per quella porzione di teologia che, ancora, pensa Gesù come un mago che conosce tutto e anticipa anche il proprio fu- turo. Il ragionamento è il solito: se Gesù è Dio, la sua divinità domina la sua umanità e quindi è anche «onni- sciente», egli conosce tutto, anche l’avvenire suo e de- gli altri. Da qui la domanda: se è Dio e conosce tutto, perché non interviene a impedire il male? Questa è la caricatura della divinità di Gesù e la negazione della sua incarnazione: «Pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,6-7). Più in gene- rale è la posizione di coloro che di fronte alla malattia e/o alla morte di un bambino, a un cataclisma che pro- voca centinaia di vittime reagiscono con frasi tipo: «Come può Dio, che sa tutto e vede tutto, permettere queste cose?». È il bisogno della divinità «a disposi- zione», il «Dio-tappabuchi» ( Lückenbüsser ), di cui parla il grande teologo luterano Dietrich Bonhöffer (1906- 1945), invenzione dell’uomo per dare una risposta alle proprie insicurezze e paure: «Dio come ipotesi di la- voro, come tappabuchi, è diventato superfluo per i no- stri imbarazzi» (Bonhöffer D., Resistenza e resa: lettere e appunti dal carcere, Bompiani, Milano 1969, 264). Gesù che si pone in preghiera ci dice che è «simile agli uomini» e, come per tutti gli uomini, anche per lui «vero uomo», il futuro non è in suo potere e la sua coscienza si forma attraverso gli incontri che vive e gli avvenimenti che sperimenta. Anche Gesù deve cercare la volontà di Dio e il senso della sua vita. Esattamente come tutti. Poiché non è in grado di vedere cosa succederà, prega e chiede al Padre aiuto e chiarezza, invocando la disponibilità ad ac- cogliere la vita, anche se non è come vorrebbe: la preghiera diventa forza per affrontare l’incertezza e luce per illuminare i suoi passi, come dice il salmi- sta: «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal 119/118,105). Gesù conosce le aspettative del suo popolo che at- tende un Messia della forza e della impietosa vio- lenza, oppositore del potere di occupazione dei Ro- mani. Egli avrebbe dovuto radunare Israele per an- dare alla riscossa della libertà e all’instaurazione del regno di Davide, lasciando dietro di sé una scìa di sangue e di morte. Gesù non sa cosa deve fare e prende le distanze da sé stesso, dagli eventi, da Dio andando in un luogo solitario a pregare. Fa spazio per fare decantare o esplodere le contraddizioni, diventa lui stesso campo di battaglia per fare eva- porare le contrapposizioni, lascia che le indecisioni si sistemino e si confrontino, non fugge e non di- vaga: «Entrato nella lotta, pregava più intensa- mente, e il suo sudore diventò come gocce di san- gue che cadono a terra. Poi, rialzatosi dalla pre- ghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza» (Lc 22,44-45). Non solo «si ritira in un luogo deserto», ma nel Getsèmani lotta fino a sudare sangue. È il senso della solitudine piena e profonda. Il testo non dice che Gesù pregasse «con» i discepoli, ma che i discepoli «erano con» lui. Vi sono momenti in cui è necessario non tanto restare soli, ma essere immersi nella «solitudine» esistenziale da cui nessuna compagnia ci può estra- niare, perché certe dimensioni possono essere con- divise solo nell’immensità dello Spirito di Dio. MC R MAGGIO2017 MC 33 © Gigi Anataloni
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