Missioni Consolata - Maggio 2017
cade. Ci sono tre tipi di cemento. Quello etico, che naturalmente ha a che vedere con l’onestà. Come in qualsiasi parte del mondo la corruzione è un elemento molto dannoso. Essa danneggia profon- damente la vita di ogni colom- biano. Ecco perché è necessario un cemento etico. In secondo luogo, è necessario un cemento spirituale. Esso è il perdono e la ri- conciliazione. Infine, c’è il ce- mento culturale. È necessario avere una cultura della vita, dei di- ritti, delle relazioni umane. L’ele- mento culturale è molto impor- tante per costruire questa nuova società. Bene, questa è la pedagogia che può entrare facilmente nella testa di qualsiasi persona, perché tutti sappiamo come si costruisce una casa. Secondo me, questa imma- gine aiuta a capire il futuro della Colombia in termini di pace». Monsignor Castro, ci spieghi perché le vittime dovrebbero perdonare. «In Colombia, le vittime compro- vate ufficialmente sono 8 milioni. Però per ognuna di loro ce ne sono almeno due in più: un figlio con mamma e papà, un padre con moglie e figli. Se per ogni vittima ce ne sono altre due coinvolte, ar- riviamo alla cifra di 24 milioni di vittime. Questo significa il 50% della popolazione. Se non ci sarà il loro perdono, mai smetteranno di essere vittime. Non esiste la vittima felice. Una vittima sarà sempre infelice. Per questo è importante passare dalla condizione di vittima a quella di sopravvissuto. “Con l’aiuto di Dio io sono stato capace di superare l’odio e il sentimento di vendetta e costruirmi un futuro differente”. Questa è la speranza per ogni vit- tima. Per questo si insiste sul per- dono. E sulla riconciliazione». Le Farc non sono un cartello Secondo rapporti internazionali e reportage, già dagli anni No- vanta le Farc si sarebbero tra- sformate da organizzazione guerrigliera (o terrorista, per al- cuni) in un cartello del narco- traffico che guadagna milioni di dollari. Questa interpretazione è realistica o è manipolata per motivi politici? «Io direi più la seconda ipotesi che la prima. Le Farc sempre hanno negato di essersi convertite in un cartello della droga. I guadagni che avevano venivano dalle imposte: se un narcotraffi- cante voleva droga, doveva pa- gare alla guerriglia una tassa. Il bu- siness rimaneva però nelle mani dei narcotrafficanti. Per non essere troppo radicale di- rei che la gran parte delle Farc ha vissuto di questa imposta, nota come vacuna . Non possiamo scar- tare l’ipotesi che qualcuno si sia messo nel narcotraffico. Però non a livello di organizzazione. Alcuni guerriglieri non hanno ac- cettato il processo di pace e si sono staccati (sarebbero circa 100 uomini del Frente Primero , di stanza in Guaviare, guidato da Iván Mordisco e Gentil Duarte, e alcune decine appartenenti ad al- tri fronti, ndr ). E credo, come tanti, che lo abbiano fatto perché si sono messi in questa attività. A co- storo interessa il denaro e non la pace in Colombia. Sono delin- quenti comuni. Però nelle Farc non c’è mai stata una scelta uffi- ciale di trasformarsi in trafficanti di droga veri e propri. L’hanno usata per ottenere risorse. Come lo hanno fatto con altri strumenti - orribili! - tipo il sequestro (le cosid- dette « pescas milagrosas », ndr ). Naturalmente, in questo mo- mento, le Farc cercano di dimo- strare che mai sono state dei mer- canti di droga. Allo stesso tempo ammettono che chiedevano soldi ai narcotrafficanti per autofinan- ziarsi». Con quali esponenti delle Farc lei ha avuto modo di parlare? «Con molta gente. Con i dirigenti. Con Iván Márquez, per esempio. Una delle ultime volte mi ha sor- preso. Durante una conversa- zione, a l’Avana, venne fuori una espressione latina. “Mi ricordo an- cora qualche frase in latino”, disse lui. “E dove lo ha imparato?”, chiesi. “In seminario”, rispose. “E chi glielo insegnò?”, continuai io. Non so se posso dirlo in questa in- tervista, ma i padri della Consolata erano stati quelli che gli avevano insegnato il latino. Un giorno egli decise di lasciare il seminario, ma chiese al vescovo se avesse potuto dargli un lavoro. Lui lo nominò professore in una strut- tura educativa. Il problema di Iván Márquez era che credeva che quel vescovo fossi io. Invece era mons. Cuniberti. In ogni caso, l’uomo ha maturato un grande rispetto per i missionari della Consolata che sono stati suoi formatori in filoso- fia, latino e altre discipline. Questo lo racconto per dire che il dialogo fluiva in maniera molto fa- cile, tranquilla e sincera. Quando il mio collaboratore portava una lista di richieste della gente, Márquez le prendeva e le distribuiva tra i suoi uomini affinché se ne occupassero. Con lui si dialogava. Con Timo- chenko , il leader maximo delle 24 MC MAGGIO2017 © Paolo Moiola «Non esiste la vittima felice. Una vittima sarà sempre infelice».
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