Missioni Consolata - Aprile 2017
74 MC APRILE2017 Il 14 febbraio del 1614, Justus Takayama e i suoi famigliari furono catturati e trasferiti a Nagasaki in attesa di essere giustiziati insieme ai missionari che erano stati radunati là. Dopo mesi di carcere, l’8 novembre 1614, Justus e 300 dei suoi compagni furono condannati all’esilio e caricati su una giunca diretta a Manila, nelle Filippine. L’espul- sione e la lenta navigazione sulla nave carica all’in- verosimile fecero ulteriormente progredire Justus nella fede. Proprio per tutte le sofferenze e le diffi- coltà patite, l’ultimo anno della sua vita fu decisivo per trasformarlo in un «vero martire», come lo ve- nerano i cristiani giapponesi. Durante il periodo in carcere egli aveva nutrito la speranza di condivi- dere la sorte dei martiri di Nagasaki. Era certo che sarebbe stato ucciso e aveva aspettato la fine con grande serenità. La navigazione verso le Filippine e l’esilio a Manila furono il tempo in cui Dio gli fece capire la differenza tra il desiderio attivo del marti- rio e l’essere esposto passivamente a condizioni che solo lentamente conducono alla morte. Justus comprese che Dio gli chiedeva l’offerta della vita, nella forma del «martirio prolungato» dell’esilio. Pur accolto con tutti gli onori dagli Spagnoli, sfinito dalla prigionia e dalla lunga navigazione morì a Manila il 3 febbraio 1615, quaranta giorni dopo il suo arrivo nelle Filippine. La Chiesa lo ha elevato alla gloria degli altari rico- noscendolo Beato e Martire il 7 febbraio 2017 ( vedi notizia a pag. 8 ). Ho avuto la gioia di essere presente a quell’avvenimento di grazia con una piccola delegazione della chiesa di Novara. Don Mario Bandera sempre più potente fino a riuscire a unificare tutto il Giappone sotto la sua autorità, cominciò a temere i cristiani e nel 1587 emise un editto che ne proibiva la religione nel paese e conteneva l’ordine di espul- sione dei missionari stranieri e l’esilio per i catechi- sti nativi. È vero che ti fu richiesto di abbandonare la fede cattolica? Sì certo, ma contrariamente a quanto fecero altri nobili, preferii rinunciare al mio feudo e subire l’esi- lio piuttosto che abiurare. Dopo un periodo difficile di mendicità, trovai rifugio con la mia famiglia presso un amico nell’isola di Shodoshima. Toyotomi venne a saperlo e mi fece incarcerare. Furono tempi duri, ma nel 1592 volle riconciliarsi con me in una cerimonia pubblica. Non mi fu restituito il mio feudo, ma ero libero di muovermi e ne approfittai per continuare a sostenere le comunità cristiane sparse in varie parti del Giappone. I governanti del Giappone vedendo la nuova fede conquistare sempre nuovi fedeli diventa- rono più ostili verso i cristiani e inasprirono la persecuzione. Nel 1597 ci fu una nuova recrudescenza della perse- cuzione. A Nagasaki furono martirizzati in 26. Morto improvvisamente Toyotomi, il successore fu peggio di lui. La persecuzione verso i cristiani fu capillare e intensa. Si voleva sradicare quello che loro chiama- vano «la mala pianta» o «la religione perversa». Im- prigionare, condannare a morte o esiliare i cristiani era diventato un dovere patrio per chi era al potere in Giappone in quel tempo. Pagine precedenti , a sinistra : dipinto classico raffigurante Takayama Ukon come samurai. A destra : statua del beato Justus Ukon a Ma- nila nelle vesti del suo rango ma con la croce invece della spada. | Qui sotto : i vescovi presenti alla beatificazione del Beato Justus a Osaka il 7 febbraio 2017. # 4 chiacchiere con... MC R
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