Missioni Consolata - Aprile 2017

Movimenti islamici e chiamata al «jihad» Il nuovo governatore, insediatosi nell’aprile 2016, si è posto come obiettivo la pace e la stabilità politica. Il suo mandato, però, si è inaugurato con nuovi fatti di violenza repressi col sangue, uccisioni di massa e stupri 20 . Fin qui nulla di nuovo rispetto agli anni passati, se non che gli attacchi di ottobre e novem- bre 2016 che hanno coinvolto le guardie di fron- tiera, sono stati rivendicati da un nuovo attore: l’«Harakah al-Yaqin» (Movimento della fede). Lo stesso gruppo ha postato alcuni video in cui si invi- tano i musulmani birmani a unirsi alla lotta contro gli infedeli 21 . Poco si sa di questa organizzazione fondata da una ventina di Rohingya residenti in Arabia Saudita e guidati da Hafiz Tohar, nome di battaglia Ata Ullah, e da Ameer Abu Amar, un pa- kistano nato da una famiglia Rohingya immigrata a Karachi. Il movimento avrebbe iniziato a reclutare affiliati nel 2013, subito dopo gli scontri del 2012 e, nel 2014, con aiuti sauditi, sarebbero iniziati i primi addestramenti sulle colline del Mayu, al confine con il Bangladesh. Secondo i servizi segreti birmani, l’- Harakah al-Yaqin potrebbe contare su una rete di centinaia di collaboratori, responsabili di attacchi a militari e di uccisioni di presunti informatori e col- laborazionisti. A differenza di altri gruppi, l’Hara- kah al-Yaqin non contiene un riferimento ai Ro- hingya nella sua denominazione: un chiaro segno dell’intenzione di internazionalizzare il conflitto in- serendolo nel disegno più ampio del jihad . Non è un caso che, già nel 2012, un altro movimento, il «Teh- reek-e-Taliban Pakistan» avesse invocato la guerra santa e che, nel giugno 2015, avesse offerto aiuti per addestrare Rohingya al jihad . Anni di politiche sbagliate e, in particolare, lo sco- ramento seguito alla grande delusione verso Aung San Suu Kyi hanno contribuito a far emergere que- sti gruppi armati d’ispirazione internazionale. Si- gnificativo, in questo senso, il video postato da Mul- Mujahidin il quale spiega che «durante il governo della giunta militare in Myanmar, noi Rohingya pensavamo che quando sarebbe arrivata Aung San Suu Kyi avremmo potuto vivere liberi […]. Ci siamo sbagliati […]. Ora dobbiamo unirci al jihad . Se non uccidiamo i kafir (miscredenti, infedeli, ndr ) non avranno mai timore di noi» 22 . Il Rakhine e il peso della povertà Una guerriglia organizzata e internazionalizzata è una nuova emergenza per il Myanmar. Essa è stata favorita anche dall’allontanamento dell’esercito ( Tatmadaw ) dalla vita sociale: senza il controllo ca- pillare del territorio da parte del Tatmadaw , gli scontri tra le due comunità si sono moltiplicati e oggi circa 120 mila Rohingya sono rinchiusi in campi profughi in cui mancano i servizi essenziali (cibo, acqua, servizi igienici, medicine) 23 . La sete di terra ha indotto il governo di Nay Pyi Taw a creare i campi per i rifugiati interni in aree depresse e su terreni soggetti ad inondazioni, ag- gravando la già precaria condizione igienica dei profughi. Un sondaggio commissionato dall’«Integrated Hou- sehold Living Conditions Assessment» (Ihlca-2) ha rivelato che il 24,6% della popolazione non ha terra di sua proprietà con punte massime che arrivano al 60% nella zona settentrionale dello stato, dove si concentra la maggioranza dei Rohingya 24 . «Il problema non è solo religioso o etnico - mi dice l’economista Wai Shwe Yee -. Il governo da anni sta cercando investitori per innalzare il tenore di vita degli abitanti, ma durante gli anni della dittatura l’intero commercio era in mano ai militari e ai Ba- mar. La democratizzazione, che ha liberalizzato l’e- conomia, ha portato i Rakhine, impiegati nei posti pubblici, ad accorgersi che il piccolo commercio era dominato dai musulmani». Il Rakhine è lo stato più penalizzato del Myanmar dal punto di vista economico: un rapporto dell’Uni- cef fissa l’indice di povertà al 43,5% 25 , secondo solo allo stato Chin, mentre la Banca mondiale, utiliz- zando nuovi e più ampi criteri di analisi, innalza lo stesso indice al 77%, superando anche quello del Chin 26 . Le condizioni sociali sono le peggiori della nazione: il 16,3% dei bambini sotto i cinque anni soffre di malnutrizione, contro una media nazionale del 9,1% 27 e il 37,4 dei bambini tra i zero e i 59 mesi sono sottopeso rispetto ad una media nazionale del 22,6% 28 . Anche il consumo energetico pro capite, indice di benessere e di sviluppo economico e indu- striale, è il più basso del Myanmar: solo 3 kw/h di elettricità contro i 121 kw/h della media nazionale; questo significa che i Rakhine e le industrie dello stato sono obbligati e far uso di generatori elettrici, il cui costo è proibitivo. In questa situazione trovare investitori, come spiega Wai Shwe Yee, è un’impresa proibitiva, ma non impossibile. Il 29 gennaio 2015 è stata inaugu- rato l’oleodotto e il gasdotto che collega il porto di Kyaukpyu, nella parte meridionale del Rakhine, alla cinese Kunming. Un progetto faraonico di 2.400 chilometri i cui 2,5 miliardi dollari sono stati intera- mente investiti dalla China National PetroleumCom- pany , la quale, per zittire le polemiche e le recrimi- nazioni dei contadini, per la maggioranza rakhine, che protestavano per l’espropriazione dei propri terreni, ha promesso un ritorno di 53 miliardi di dollari in royalties in 30 anni e che il 10% del gas re- sterà in Myanmar. La protesta popolare, però ha indotto il governo di Nay Pyi Taw a cancellare il progetto ferroviario che avrebbe dovuto costeg- giare il gasdotto e congiungere Kyaukpyu a Kun- ming. Alla fine del 2015 il governo ha anche approvato il progetto della «Zona ad economia speciale» di Kyaukpyu che porterebbe nella zona investimenti per 100 miliardi di dollari. Le organizzazioni rakhine locali lamentano che gli investimenti non beneficeranno l’economia locale: «Le compagnie che hanno investito nei progetti nello stato Rakhine, cinesi, indiane, singaporeane, thailandesi, tendono a portare manodopera dei loro paesi o, quando questa non è sufficiente, bamar. ROHINGYA APRILE2017 MC 45 D

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