Missioni Consolata - Aprile 2017

zionale da parte di una cooperante, come avvenuto a marzo 2014, per scatenare il putiferio: una folla rabbiosa di Rakhine ha devastato 33 uffici di Ong e di organizzazioni dell’Onu costringendo 300 coope- ranti a lasciare lo stato. Nel febbraio 2014 il governo ha sospeso le attività di diverse Ong tra cui Msf (nel luglio dello stesso anno l’organizzazione francese è stata invitata a rien- trare e dal gennaio 2015 ha ripreso le sue opera- zioni in Myanmar) 12 . La «All Rakhine Refugee Committee» ha dichiarato di rifiutare ogni tipo di aiuto da parte delle Ong e dall’Onu 13 . In questo clima, per il parlamento birmano è facile approvare, su espressa richiesta di alcuni movi- menti buddhisti, una serie di norme volte a contra- stare la società islamica nel Myanmar: il «Religious Conversion Bill», l’«Interfaith Marriage Bill», il «Monogamy Bill», il «Population Control Bill», tutte leggi rientranti nel pacchetto della «National Race and Religion Protection». Il «Programma nazionale di protezione della razza e della religione», approvato nel 2014 e ancora in vi- gore, ostacola la conversione all’islam e i matrimoni di donne buddhiste con uomini musulmani, obbliga gli uomini musulmani a tagliarsi la barba per le fo- tografie su passaporti, mentre limita a due il nu- mero di figli per le coppie musulmane, oltre che ad obbligare le donne a lasciare passare un periodo minimo di 36 mesi tra un parto e l’altro 14 . Una delusione di nome Aung San Suu Kyi La liberazione di Aung San Suu Kyi, avvenuta nel novembre 2010, aveva portato una ventata di spe- ranza tra i Rohingya. In una intervista rilasciata nel 2013, la Lady (so- prannome di Suu Kyi, ndr ) aveva identificato il pro- blema di fondo che divideva le comunità nel Ra- khine: «Ciò che è venuto a mancare durante gli anni della dittatura militare, è la capacità del dia- logo e del compromesso. Nessuno vuole cedere sulle proprie richieste e questo porta inevitabil- mente ad uno stallo dei negoziati» 15 . Purtroppo questa capacità di dialogo non sembra sia stata sviluppata dalla stessa Aung San Suu Kyi. Nay San Lwin, militante Rohingya e autore di un blog su quello che sta avvenendo nella sua comu- nità, mi confida la sua delusione, condivisa da molti e che si avverte in tutte le comunità etniche e reli- giose: «Aspettavamo che la Lady prendesse una netta posizione di condanna nei confronti delle vio- lenze nel Rakhine. Purtroppo tutte le sue belle pa- role spese sui diritti umani, sulla democrazia e a fa- vore delle minoranze etniche si sono dissolte ap- pena lei è entrata in politica». La ritrosia della Lady nel condannare in modo netto le violenze contro le comunità islamiche, non solo nello stato Rakhine e non solo contro i Ro- hingya, ha attirato numerose critiche verso quella che, un tempo, era vista come paladina dei diritti umani, così la sua elezione a ministro e consigliere ROHINGYA In basso : monaci buddhisti mostrano uno striscione - «i sostenitori dei Rohingya sono nostri nemici» - per protestare contro la visita di Yanghee Lee, relatore delle Nazioni Unite per i diritti umani in Myanmar, nelle strade di Yangon (16 gennaio 2014). Pagina prece- dente : monaci in una via di Sittwe, capitale dello stato di Rakhine. APRILE2017 MC 43 D © Soe Than Win / AFP D

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=