Missioni Consolata - Aprile 2017

32 MC APRILE2017 N on si può amare e non si può pregare nella confusione, nel frastuono e nella disper- sione. L’intimità che non sia prostituzione esige riservatezza perché l’amore custodi- sce la persona amata e l’amore, come la preghiera, esigono la condizione preliminare del «silenzio», anzi dell’«ascolto del silenzio». Per questo occorre non solo «fare silenzio» dentro e attorno a noi, ma «es- sere silenzio», cioè abitarlo come luogo d’intimità (cfr Sap 18,14-15). Lo sa il salmista che prega: «Per te il silenzio è lode, o Dio, in Sion, a te si sciolgono i voti» (Sal 65/64,2). È probabile che questo salmo sia stato formulato in terra d’esilio, lontano dal tempio di Gerusalemme, e che l’autore, privo dei sacrifici, dei riti e delle liturgie, si limiti a immaginare, in silenzio, il tempo del tempio, quando nulla ne faceva temere la distruzione. Il silen- zio stesso è sacrificio, cioè offerta di lode, da qui si de- duce che la preghiera sostituisce i sacrifici e non si esaurisce nelle formule, ma nel desiderio, nell’anelito di essere e stare con Dio. Come conciliare tutto questo con le condizioni di vita di oggi, in cui rumore, chiasso, frettolosità e superficialità sono onnipresenti? Seduzione e deserto Anche Dio, quando deve recuperare l’amore tradito e sporcato, non trova altra soluzione che condurre la donna/Israele nel deserto, nel cuore del silenzio, al riparo da sguardi indiscreti: «Perciò, ecco, io la se- durrò, la condurrò nel deserto e parlerò sul suo cuore» (Os 2,16). Nemmeno Dio si può sottrarre alla pedagogia e alle dinamiche dell’innamoramento, se vuole che la sua relazione con l’amata sia vera e profonda. Per il profeta Osea, il «deserto» non è solo il luogo geografico dell’esperienza della liberazione dall’Egitto, ma è anche il luogo della solitudine e della riservatezza, il «dove» che custodisce da occhi estra- nei la persona amata perché l’amore totale non può avere come proscenio la piazza, ma solo lo spazio che unisce i due cuori. Anche Gesù va nel «deserto» fisico, simbolo del de- serto intenso della sua anima. In greco «deserto - èrēmos », da cui èremo, è luogo isolato, pur non as- sente dal mondo perché è nel mondo, ma non del mondo; luogo dove la dimensione della vita scorre non sulle onde agitate dei cavalloni del mare in tem- pesta, ma sugli alisei sottotraccia, dove il tempo ritma l’eterno e l’eternità scandisce l’essenziale del- l’esistenza, purificando dalle scorie del superfluo. Nel deserto non si porta l’abito da sera o il vestito della festa: solo l’essenziale è consentito, ciò che non in- gombra e non appesantisce. Il deserto è il luogo della purità del cuore e della limpidezza dello sguardo, dove per sentire anche il sussurro dell’amore e per vederlo basta «chiudere gli occhi». Nel deserto non ci si può distrarre perché come custo- disce, così uccide, pieno com’è di pericoli e insidie che impongono vigilanza e attenzione. Il deserto non ispira la preghiera per occupare il tempo, perché nel deserto non c’è tempo, ma soltanto il sole che brucia il giorno e impone il buio, allungando le paure come ombre e le tensioni come desideri. Nel deserto tutto è sospeso, anche la vita. In questo contesto la preghiera diventa la misura dell’essere, nell’aspetto del deside- rio e dell’agire, del progettare e del realizzare. La veri- fica della vicinanza con Dio si trova solo se c’è il clima dell’ascolto nel silenzio che diventa attenzione asso- luta all’altro/Altro. A questo livello non occorrono pa- role, perché basta «esserci». La preghiera è - e non può non essere - relazione tra due innamorati. Da questo punto di vista pregare si- gnifica, lo abbiamo già detto, perdere tempo per la persona amata. Gesù, infatti, non sottrae tempo agli altri, ma solo a sé, al suo riposo, per dedicarlo al Pa- dre, la Persona che ama più di ogni altro. «Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ri- tirò in un luogo deserto, e là pregava» (Mc 1,35). L’e- vangelista ci tiene a precisare che questo stile di Gesù è abituale, che cioè la sua vita è ritmata dalla pre- ghiera non come un sistema di formule o obblighi da adempiere, ma come necessità interiore. Mentre tutti dormono, all’aurora, prima dell’alba, egli veglia sul mondo in comunione col Padre, facendosi carico delle fatiche e delle assenze dell’umanità. L’incontro col Pa- dre per lui è la vita, la sua vita, e senza di esso non può vivere. Per Gesù pregare è illimpidirsi lo sguardo per adeguare sempre più la propria vita a quella del Padre e crescere in intimità con lui: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30). Pregare non è dire formule, ma imparare a «stare con…». Due innamorati stanno insieme per uniformare pen- sieri, desideri, tenerezza, aspirazioni, progetti, senti- menti, volontà, decisioni, ecc. Gesù prega per mante- nere la sua vita in conformità con a quella del Padre perché egli «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). In questo senso la pre- ghiera diventa anche purificazione da eventuali tracce di egoismo narcisista e di tornaconto. Fratel Arturo Paoli, profeta di oggi, fino alla sua morte, anche da centenario, si alzava ogni notte verso Insegnaci a pregare COSÌ STA SCRITTO di Paolo Farinella, prete 3. «Dal deserto al cosmo per la storia»

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