Missioni Consolata - Aprile 2017

18 MC APRILE2017 molti scandali di corruzione che lo avevano costretto a scappare in Giappone. Quando nel governo provvisorio di Valentín Paniagua si volle fare un’inchiesta sulla cor- ruzione al tempo di Fujimori, gli organismi per i diritti umani ne approfittarono per proporre l’isti- tuzione di una commissione sulle violazioni dei diritti umani. Non solo convinsero Paniagua, ma riuscirono a fare in modo che l’inchiesta riguardasse un lasso di tempo che andava indietro fino al governo di Belaúnde durante il quale Paniagua era stato presi- dente della Camera di Deputati. Ufficialmente Paniagua e poi il suo successore Alejandro To- ledo * , volevano una commissione il più possibile plurale, e scelsero i commissari per il loro valore mo- rale: un vescovo, un pastore evangelico, un militare, una im- prenditrice. Fra i dodici membri c’erano anche Sofía Macher che era stata Segretaria esecutiva della Coordinadora Nacional de Derechos Humanos , il sacerdote Gastón Garatea * , il sociologo Ro- lando Ames che nel primo go- verno di García aveva partecipato come senatore di sinistra all’in- chiesta sul massacro delle carceri, e Carlos Iván Degregori, antropo- logo che aveva lavorato ad Aya- cucho ed era uno dei più grandi ricercatori su Sendero Luminoso. Come osservatore per la Chiesa Cattolica c’era il vescovo Luis Bambarén * . Questi cinque perso- naggi avevano lavorato molto per i diritti umani al tempo del con- flitto, denunziando i crimini dei senderisti e dei militari. Mi causò una certa sorpresa il fatto che, all’interno di questa pluralità, non si fosse nominato nessun rappresentante delle vit- time. E la situazione più curiosa fu che, pur essendo il razzismo il fattore che causò strage tra molti innocenti, non si pensò di inclu- dere persone dai tratti indigeni fra i commissari: quasi tutti erano uomini bianchi che abitavano a Lima, nessuno parlava quechua, la lingua indigena predominante in Perù. La stessa Commissione avrebbe poi scoperto che il 75% delle vittime della violenza par- lava quechua. In una società con tante divisioni etniche e sociali non fu la partenza migliore. Un altro punto problematico fu il fatto che la Commissione, inizial- mente, non capì che il suo lavoro non era nato da una domanda della società: per i crimini com- messi da Sendero Luminoso e Mrta, i responsabili erano già in prigione e la gente non sentiva il bisogno di fare nuove ricerche. Nel caso dei crimini delle forze di sicurezza statali, era molto dif- fusa l’idea che fossero stati il prezzo da pagare per la pace. Anche i contadini sentivano molto lontana la Commissione. Quando essa organizzò udienze pubbliche - ad esempio ad Ayacu- cho, uno dei posti in cui più aveva sofferto la popolazione indigena - nelle quali le vittime racconta- vano le violenze subite, la gente pensò che i commissari volessero ascoltare i testimoni per semplice sadismo, perché ai bianchi pia- ceva vedere soffrire gli indigeni. In più, alcune decisioni impor- tanti della Commissione erano state prese senza valutarne le conseguenze sociali. Informe final e conseguenze politiche Nonostante i problemi menzio- nati, dopo mesi di lavoro intenso in tutto il Perù, sistemando e or- dinando centinaia di testimo- nianze, la Cvr produsse un docu- mento molto corposo e com- pleto: l’« Informe Final », in nove volumi, un lavoro di ricerca che approfondiva molti aspetti della violenza e del suo contesto. La difficoltà maggiore per la Com- missione durante il suo lavoro non era stata tanto quella di sco- prire i crimini del tempo de Be- laúnde, quanto piuttosto quella di mostrare come la gente avesse accettato la situazione. Più diffi- cile che mostrare l’orrore com- messo da terroristi e militari, era stato mostrare la sua accetta- zione nell’opinione pubblica. L’ Informe Final ricevette quasi unanime rifiuto da parte della classe politica: i partiti di Be- laúnde, García e Fujimori e i loro alleati non volevano nessuna re- sponsabilità: dicevano che nel la- voro della commissione aveva pe- sato un preconcetto antimilitari- sta. Soltanto la sinistra riconobbe il valore del documento. Anche il capo della Chiesa peru- viana del tempo, il cardinale Ci- priani * , fu contro l’ Informe , spe- cialmente perché si era sentito chiamato in causa nei passaggi in cui esso parlava di un ruolo nega- tivo della Chiesa nella zona del conflitto. Va notato che nel pe- riodo più cruento, Cipriani non era ancora vescovo ad Ayacucho. Data la resistenza nell’acco- glienza del documento, alcuni settori numericamente piccoli della società civile (i cattolici le- gati alla teologia della liberazione e le Ong che si occupavano dei di- ritti umani) lavorarono per pro- muoverne la diffusione e la cono- scenza. Al loro impegno si devono i risultati positivi di questi anni. G IUSTIZIA . L’ Informe final continua a essere uno strumento per tutti quelli che cercano giustizia. Le Ong per i diritti umani hanno av- viato processi giudiziari per molti casi. Il più conosciuto è quello contro Fujimori, il quale, arre- PERÙ Jimmy Jara_Galeria del Ministerio de Defensa del Perú/ flickr com

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