Missioni Consolata - Marzo 2017

MARZO2017 amico 77 AMICO.RIVISTAMISSIONICONSOLATA.IT magini che raccontano senza fronzoli, che riassu- mono senza esclusioni, che commuovono senza pietismi, che interrogano senza risposte defini- tive... DA UN MURO A UN ORIZZONTE La mostra comincia con l’immagine di un muro e termina con ampi orizzonti senza confini. Il muro è quello che separa Betlemme da Gerusalemme, che separa palestinesi e israeliani; è il muro di cemento impastato con i cuori induriti da una «cardiosclerosi precoce» provocata dall’odio tra- mandato da oltre settant’anni. Nell’aprire il racconto della mostra, Alex sembra parafrasare le parole rivolte da papa Francesco ai giovani della Gmg di Cracovia: «…abbiate il coraggio di insegnare a noi che è più facile co- struire ponti che innalzare muri!». Tra quel muro e quell’orizzonte si passa da una guerra all’altra: in Repubblica Democratica del Congo ad esempio. Siamo turisti a un safari foto- grafico nella savana: dallo sfondo sfocato si sta- glia in primo piano la testa di una bambola e i resti di stoviglie per terra… Turisti ignari di una guerra taciuta da oltre vent’anni per l’accaparra- mento di terre con giacimenti di coltan, minerale utilizzato per la costruzione dei touch screen di telefonini e tablet. Il mio smartphone vibra nel momento meno op- portuno. Non leggo il messaggio. Mi fa impres- sione toccare quello schermo forgiato con san- gue e sudore di soldati per forza e minatori - spesso bambini - pagati pochi dollari al giorno. STORIE DENTRO La mostra è pensata per giovani, ma racchiude un messaggio anche per i bambini che fanno do- mande a cui non è facile rispondere e per i più grandi che si chiedono esterrefatti perché nes- suno parli di queste cose… Notizie taciute dai media, non facili da trovare, forse perché non le vogliamo trovare. La mostra «Viaggi dentro» apre una finestra sul mondo, invita a informarsi, discutere, capire. È il compito del fotoreporter mandare un messag- gio, poi sta a noi decidere se chiudere quella fi- nestra o spalancarla. Una festa in Benin. In ogni foto c’è un partico- lare che ti colpisce. C’è un momento di gioia ri- preso in Benin: danze e canti al ritmo dei tam- buri. Eppure, in questo quadro festoso, l’occhio dell’osservatore nota la tristezza di una ragazza che porta, evidenti sulle braccia, i segni della malattia… è l’Aids. Sulla testa ha il tipico copri- capo di colore rosso (colore di lutto in Benin) che serve da monito per gli altri: un segno este- riore che indica una fine ineluttabile. In mano, in un sacchetto nero, ci sono gli indumenti puliti, gli ultimi che indosserà. Lo sguardo perso nel fu- turo che non ha… La ragazza farfalla. Sì, il futuro. Quello che per i bambini è già domani, come per la «ragazza far- falla» di un’altra foto. Uno squarcio di luce all’in- terno della capanna mostra parzialmente il suo volto intessuto con i segni della sua tribù sull’or- dito della malattia che l’accompagna fin dalla nascita. La ragazza sogna di fare la dottoressa. Lo dice con la sicurezza di chi sta per conse- gnare la tesi in medicina. Eppure sa di avere l’Aids. Tagore scriveva che «la farfalla non conta gli anni ma gli istanti: per questo il suo breve tempo le basta». È questo l’insegnamento della ragazza farfalla: se vuoi restare bruco per tutta la vita fai pure. Ma se hai il coraggio di rinascere farfalla, nel breve tempo che ti è dato, puoi ve- dere orizzonti immensi. Le mani di Marcel. Non si può vivere senza sporcarsi le mani e darsi da fare per l’altro. Sono le mani di Marcel (a cui Alex dedica la mostra) che sbuccia un frutto. Non il viso, ma le mani esprimono l’avere cura dell’altro. Le mani sono il luogo del primo incontro, del saluto, le mani sono lo strumento per aiutare, per toccare e ab- bracciare, per sentire. © Alex Zappalà © Alex Zappalà

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