Missioni Consolata - Marzo 2017
e ancora vincitrice del Premio Václav Havel per i diritti umani, conferitole dal Consiglio d’Europa, e del Premio Sakharov per i diritti umani, assegna- tole dall’Europarlamento, insieme a Lamiya Aji Bashar. Donne e bambine in balia dei miliziani Grandi onori e attenzioni da parte dei media di tutto il mondo. Eppure, con una lucidità e una fer- mezza sorprendente, mi racconta tutta la sua soli- tudine, l’impotenza e la disperazione di fronte al dramma della sua gente. «Non ho alcuna speranza», confessa Nadia, a due anni esatti dal genocidio. «La mia comunità è in via di estinzione. Il 90% dei nostri sopravvissuti vivono dispersi in campi profughi. Abbiamo an- cora migliaia di bambini tenuti come schiavi dal- l’Isis, e quanto ai pochi che sono riusciti a fuggire, nessuno se ne occupa. Oggi siamo dispersi in giro per il mondo, e i nostri villaggi - anche quelli libe- rati - sono distrutti e non possiamo farci ritorno. La nostra sola, piccola speranza è la comunità in- ternazionale. Senza il loro aiuto, per noi non c’è futuro». Secondo le cifre fornite da Yazda, l’ong yazida, sono 5.000 gli Yazidi che hanno perso la vita per mano dell’Isis, mentre altri 7.000 sono stati rapiti. Un computo ancora incerto, purtroppo, come grandi sono le incertezze circa il possibile ritorno in patria dei sopravvissuti, anche una volta che il Daesh sia stato debellato. Nadia Murad era una ragazza di 19 anni, una studentessa, il giorno in cui la storia ha fatto irruzione nella sua vita, stra- volgendola per sempre. «Dopo che hanno preso noi donne dal villaggio - racconta Nadia -, ci hanno raccolte e messe in- sieme a centinaia di altre ragazze provenienti da altri villaggi del Sinjar. Abbiamo chiesto loro cosa ci facessero lì e cosa fosse successo loro. Ci hanno risposto che venivano picchiate ogni giorno e che ogni giorno venivano a scegliere alcune di loro per abusarne in diversi modi, inclusi stupri di gruppo. Poi ci prendevano per portarci in stanze dove i militanti dell’Isis venivano, ci guardavano e sce- glievano le ragazze che volevano portarsi via. Questo capitava a bambine e donne dai 9 ai 60 anni. E così è capitato a me. Ci prendevano e ci obbligavano a convertirci, portandoci alla Corte islamica di Mossul. Lì venivamo registrate come schiave, senza alcun diritto, a differenza delle loro madri, mogli e figlie. Ci spartivano fra loro e abu- savano di noi. Inoltre, dovevamo servirli». All’origine del suo salvataggio, avvenuto dopo un primo tentativo di fuga fallito - cui era seguita una 48 MC MARZO2017 D © Meabh Smith / Trocaire La diaspora U no dei pericoli maggiori che si trova oggi ad affrontare la comunità yazida è quello della sua dispersione. Un fenomeno non nato in questi ultimi anni, ma che ha conosciuto di re- cente una spaventosa accelerazione. Questa, unita al numero esiguo dei suoi membri, e all’as- senza pressoché totale di centri di potere econo- mico, politico o religioso che possano supportarla, rischia di condannare la minoranza in questione a una rapida scomparsa. Difficile, anche a causa della situazione in divenire e della dispersione, avere un’idea chiara di quanti siano effettiva- mente gli Yazidi. Si stima che, prima dell’invasione dell’Isis, se ne trovassero in Iraq fino a un massimo di mezzo milione. Altri insediamenti storici di que- sta minoranza, con numeri assai più ridotti, si tro- vano in Siria, in Turchia, in Russia e nel Caucaso del Sud, ovvero in Georgia e Armenia. In quest’ul- timo paese, dato il notevole numero di profughi e la buona integrazione nella società che li accoglie, è in via di costruzione - caso unico al mondo - un tempio yazida. Il paese europeo che più ha aperto le porte ai membri di questa minoranza persegui- tata è stato senza dubbio la Germania, dove si tro- vano oggi oltre 100.000 Yazidi. Qui, prima e in maggior misura che altrove, è stato possibile av- viare programmi di riabilitazione anche psicolo- gica per i sopravvissuti allo sterminio e per le donne yazide che hanno subito violenze. Oltre alla Germania, altri paesi europei che li hanno accolti sono, per esempio, Francia, Gran Bretagna e Olanda. Al di fuori del nostro continente, il Canada sembra aver deciso di recente di seguire l’esempio della Germania nel fornire asilo e assistenza ai profughi yazidi. Si.Zo.
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