Missioni Consolata - Marzo 2017
chia o di altri paesi, dove mancano spesso i beni più basilari. Nessuno stato al mondo (con la sola eccezione della Germania, che ha ospitato e for- nito assistenza medica e psicologica a diverse mi- gliaia di Yazidi e, più di recente, del Canada) ha in- fatti voluto finora assumersi l’onere di accogliere i sopravvissuti, facendosi carico dei loro traumi e delle storie di violenza e orrore che essi, inevita- bilmente, portano con sé. Inutile ricordare come, per questi sopravvissuti a un genocidio - che poi in molti casi sono donne, vittime di abusi sessuali e ridotte in schiavitù dagli uomini dell’Isis - non ba- stino solo un pezzo di pane e un tetto per alle- viarne il dolore e ridare loro dignità. Questa assenza di sostegno da parte della comu- nità internazionale costituisce un paradosso. In- fatti, sebbene sia unanime la condanna del terrori- smo islamista e tutte le forze politiche di ogni paese siano oggi parimenti concordi nel riconosci- mento della violenza perpetrata dai miliziani del- l’Isis contro le minoranze religiose, la campagna 40 MC MARZO2017 D portata avanti dagli attivisti per il riconoscimento del genocidio yazida non ha finora raccolto i risul- tati sperati. Eppure, un raffronto con il passato, con l’Olocausto degli armeni e degli ebrei, innanzitutto, dovrebbe gettare luce sul destino di questa gente. Si è di fronte ancora una volta al sistematico tenta- tivo di annientamento non solo fisico, ma anche cul- turale e spirituale di un intero popolo, portato avanti da un manipolo di fanatici, ma con la compli- cità e la collaborazione di una parte delle popola- zioni sottoposte al dominio del Califfo al-Baghdadi. La persecuzione e lo sterminio avvenuti dall’agosto 2014 a oggi non sono - come raccontano i rappre- sentanti stessi della comunità yazida - che l’ultimo e più sanguinoso epilogo di una persecuzione in atto sin dall’Ottocento, che periodicamente riaf- fiora. «Gli eventi del 2014 rappresentano per loro - ha scritto Vicken Cheterian su Le Monde Diplomati- que (gennaio 2017) - il settantatreesimo massacro». Il monoteismo degli Yazidi I fondamentalisti di oggi trovano nella fede e cul- tura yazida la ragione principale per perseguitare e cercare di eliminare quella popolazione. Una diffi- denza e un pregiudizio ormai radicati per una fede sentita come estranea, chiusa, sincretistica, e per- ciò difficilmente classificabile. Eppure, a ben guar- dare, lo Yazidismo è anch’esso, al pari delle tre reli- gioni abramitiche (ebraismo, cristianesimo e is- lam), una religione monoteistica, seppure con al- cuni tratti originali. I suoi seguaci fanno risalire le loro origini indietro di migliaia di anni, e lo sviluppo di riti e credenze fu senza dubbio il frutto di un lungo processo di com- mistioni religiose e di acculturazione. Ma fu solo in epoca islamica, ci dicono gli specialisti, che gli Ya- zidi acquisirono un’identità precisa e distinta sia in termini etnici che religiosi. In particolare, vi è un personaggio che ricorre come fondamentale nell’et- nogenesi di questa minoranza. Ci riferiamo alla ca- rismatica figura del mistico sufi Shaikh Adi ibn Mussafir (morto nel 1162) che predicò nella regione divenendo, dopo la sua dipartita, oggetto di grande venerazione. «È il loro profeta, il loro grande santo, adorato quasi come Dio», scriveva lo storico delle religioni Giuseppe Furlani, «la cui tomba, nel tem- pio che hanno a Nord Est di Mossul, essi riguar- dano come loro santuario nazionale». Di questo loro pellegrinaggio al santuario di Lalish ci ha lasciato un racconto suggestivo, in un articolo pubblicato sul portale Treccani, Gianfilippo Terri- bili, docente all’Università La Sapienza di Roma. Terribili ha preso parte di persona nel 2015, ovvero A sinistra: un combattente yazida. Pagina seguente: un’immagine dell’Angelo Pavone ( Malak Tawus ) della religione yazida, conside- rato un’emanazione divina posta come intermediario fra il cielo e gli uomini. D © Joseph Galanakis / NurPhoto - AFP
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