Missioni Consolata - Marzo 2017

12 MC MARZO 2017 ferme, attività rallentate. «La gente non riusciva a procurarsi il cibo, anche perché molte per- sone avevano dovuto abbando- nare il lavoro, così, oltre alla scarsa disponibilità di prodotti, a mancare erano anche i soldi. Inol- tre i bambini che man mano per- devano i genitori erano allo sba- raglio», continua. Fame ed emarginazione La meticolosità delle suore nel- l’organizzare gli interventi ha per- messo loro di salvare la vita a molte persone. A testimoniarlo il registro con l’elenco di tutti gli or- fani di Harbel sul quale al tempo segnavano con attenzione la quantità di cibo fornita a ciascuno con accanto la firma della per- sona che li aveva presi in carico. «A coordinarci c’era sister Maria Teresa Moser che ora purtroppo è dovuta rimpatriare a causa di problemi di salute. Siamo perfet- tamente consapevoli che donare il cibo non sia il modo giusto per risolvere i problemi di queste per- sone. In una situazione come quella però se non l’avessimo fatto, oltre alle vittime dell’ebola ci sarebbero stati anche tanti morti di fame», riprende suor Anna Rita. Nel dicembre del 2015 le missio- narie si sono preoccupate di regi- strare i 614 orfani al governo: «Noi continuiamo a fare ciò che possiamo ma le autorità devono attuare un intervento radicale dall’alto per sostenere questi ra- gazzi. A gestire la situazione do- vrebbe essere il ministro delle Pari opportunità, ma per ora ha fatto poco o nulla», afferma con sconforto Eugenia. «I nostri fondi ci permettono di aiutare economicamente solo po- che famiglie. Ad alcuni bambini che frequentano la scuola a Bu- chanan non facciamo pagare le rette», spiega suor Clotilde men- tre si avvicina a Patience, studen- tessa di 13 anni intenta a giocare con gli altri ragazzi durante l’in- tervallo. «Mio papà era un mura- tore, ha preso l’ebola e si è am- malato. Adesso vivo con mia mamma e i miei cinque fratelli. Mangiamo una volta al giorno, però possiamo frequentare la scuola perché le suore ci aiutano. Mi piace venire a lezione. Quando durante l’epidemia l’isti- perché portano con sé lo stigma del virus. «Andiamo nelle case e cerchiamo di far comprendere alle persone che questi bambini sono come tutti gli altri, hanno solo più bisogno perché rimasti soli. Facciamo sensibilizzazione. Adesso, per fortuna, iniziamo a vedere qualche risultato, com- plice il passare del tempo che fa sentire sempre più lontano quel terribile periodo», spiega Anna Rita minimizzando sempre ciò che fa. «Portiamo avanti un lavoro che abbiamo cominciato all’apice del- l’epidemia», interviene suor An- nella, di poche parole ma molto precisa. In quel momento di estrema emergenza era infatti fondamentale cercare di soddi- sfare i bisogni primari delle per- sone: tutto era bloccato, molte aziende chiuse, importazioni LIBERIA

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