Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2017
GENNAIO-FEBBRAIO 2017 MC 11 mondo. La Corea (ma lo stesso si può dire di Taiwan, altro posto che ho imparato a conoscere in questi anni) è passata dalle stalle alle stelle alla velocità della luce: sulle rovine di un paese frantu- mato e diviso dalla guerra civile degli anni ’50 si è innestato il turbo di un progresso vertiginoso. Zigzagando per il centro Seul è immensa. Venticinque mi- lioni di coreani, dei cinquanta complessivi che compongono la popolazione nazionale, vivono in questa immensa area metropoli- tana che non dista molti chilo- metri dal sempre turbolento confine con la Corea del Nord. Tuttavia, almeno in centro, or- mai mi oriento senza troppa dif- ficoltà, anche se ogni tanto sono costretto a estrarre la cartina dallo zainetto perché sotto ai grattacieli la città ti può confon- dere e il fatto di girare a sinistra invece che a destra ti può com- plicare non poco la vita. Gli iso- lati sono enormi e, se ci si sba- glia, i percorsi si possono allun- gare a dismisura prima di ren- dersi conto che si sta cammi- nando nella direzione errata. Guardo la mappa quasi di nasco- sto perché il coreano è solita- mente persona gentilissima e si avvicina come un falco appena intuisce la benché minima diffi- coltà del turista. Iniziano allora conversazioni surreali con l’im- che strisciare i piedi con fatica in mezzo a gente di ogni dove. Ri- conosco facilmente alcuni ameri- cani - sono ancora parecchi, molti di loro militari - alcuni eu- ropei. Ogni tanto, forse, mi pare di riconoscere un accento au- straliano, che poi magari è neo- zelandese, o canadese, o chi lo sa… Per non parlare delle mi- gliaia di asiatici che intasano i piccoli negozietti di souvenir: ci- nesi, giapponesi, taiwanesi, viet- namiti, eccetera, eccetera. Insa- dong è una babele orizzontale, una spremuta di mondo in poche centinaia di metri che terminano in Yulgok-ro, la grande arteria che separa il turista dai tesori della Seul reale. A destra il mera- viglioso palazzo di Changdeok- gung, patrimonio dell’Unesco, costruito originariamente nel 1405 e a tutt’oggi uno degli edi- fici storici meglio conservati della nazione. Camminando a sinistra, si raggiunge invece il palazzo di Gyeongbokgung, la più grande delle cinque residenze reali che arricchiscono oggi la Seul storica e culturale. Distrutta completa- mente durante la dominazione giapponese e ricostruita grande e bella per urlare in faccia al mondo che il corpo muore ma l’anima sopravvive e alimenta la fiamma dell’orgoglio nazionale. Come quello del vecchietto di Tapgol Park: «Independence from Japan». provvisata guida che non capisce dove tu vuoi andare, ma ti spiega come fare a raggiungere luoghi di cui manco avresti immaginato l’esistenza. Quanto mi piace- rebbe poter andare oltre agli ste- reotipati annyeonghaseyo (buongiorno) o gamsahabnida (grazie), le uniche due parole di coreano che conservo da un viaggio all’altro. Ho provato ad ammucchiarne qualcuna in più nel mio improvvisato bagaglio di viaggiatore, ma il coreano è lin- gua impegnativa, il cui studio esige dedizione costante e pra- tica. Alla fine mi sono arreso. Oggi, dopo questi anni di servizio all’Istituto che mi hanno portato a viaggiare più volte in Oriente, mi resta la nostalgia, condita da un pizzico di rammarico, dei passi non fatti, dei libri non letti… dei film non visti, in- somma, della Corea che avrei potuto esplorare anche dalla mia camera e che invece è rimasta sconosciuta. In questi anni mi sono accorto che per capire l’A- sia (e la Corea non fa certo ecce- zione) non basta il «mordi e fuggi», occorre immergersi, en- trare nel tessuto, accettare la sfida di rimanere ai margini di un mondo che quando inizia ad es- sere minimamente intellegibile è soltanto perché vuole fuggire di nuovo, inseguito senza conce- dersi. Percorrendo Insa-dong, la via dei turisti, non posso far altro • Evangelizzazione | Cultura | Dialogo • MC A
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