Missioni Consolata - Dicembre 2016
DICEMBRE 2016 amico 73 «C osa mi racconti dell’Africa?» È probabilmente la domanda più fre- quente che ci si sente porre al ritorno da un viaggio in quell’immenso continente a forma di cuore. Il problema è: come rispondere al quesito? Mo- strando le foto? Definendo le emozioni provate? Facendo ascoltare la musica tipica? Spiegando le mille varianti che può avere un colore - cosa, per chi non ha visto un tramonto africano, forse un po’ complessa da immaginare -? La risposta è che l’Africa non si può spiegare. È un continente che va assaporato attraverso tutti e cinque i sensi, ogni momento vissuto è un turbine di sensazioni, pelle d’oca, cuore che pulsa, vita che ti scorre sem- pre più affamata nelle vene. Nel mo- mento in cui si mette piede in quella terra si viene avvolti da un’aria diversa, alzando lo sguardo al cielo ci si sente piccoli, molti spazi non sono delimita- bili, c’è così tanto davanti agli occhi che questi non sono mai sazi di osser- vare. Le luci sono più luminose, l’alba ha un colore nuovo, il buio è più intenso, le stelle brillano di più. Durante gli spostamenti si è sempre all’erta poiché la possibilità di incontrare qualcosa di nuovo che cattura l’attenzione è alta: il cane de- nutrito, i bambini sorridenti che agitano le mani per salutare, una donna che porta sulla schiena il suo bambino, un artigiano che crea cesti, degli uomini che costruiscono la propria casa. È un continuo intervallarsi di luoghi disordinati e sporchi e di natura e spazi infiniti. M a l’Africa è anche collettività: nei balli, nei canti, nei bambini che giocano in cerchio coinvolgendoti nel centro e in- segnandoti i passi e le parole. La collettività è il thé o caffè caldo offerto quando ti presenti senza preavviso in una casa. La collettività è l’an- ziana che ti dona il suo scellino guadagnato pro- babilmente coltivando i campi con la schiena ri- curva sotto il caldo cocente. La collettività è non sentirsi mai soli: perché i bambini ti rincorrono e si aggrappano a te con tutte le loro forze, ti stringono le mani senza vo- lerle più lasciare, perché le loro voci gridano il tuo nome facendo «jambo» con la mano; perché ti rivolgono i loro sorrisi e i loro occhi immensi, ti esplorano, dai capelli all’espressione, cercano di insegnarti qualcosa e si aspettano che tu faccia AMICO.RIVISTAMISSIONICONSOLATA.IT lo stesso. Non sentirsi soli si- gnifica venire fermati dai bam- bini quando si vuole uscire dal cor- tile della scuola, camminare salutando chi si in- contra durante il tragitto, sentirsi dire «karibu» come benvenuto da qualcuno che ti apre la porta di casa sua come fosse anche casa tua. L’ Africa è le piccole cose, i bimbi contenti di indossare i tuoi occhiali da sole e che ridono a crepapelle quando si rivedono in una foto, l’importanza che danno alla tua pre- senza, la semplicità che fa vedere loro nel poco che hanno la cosa più bella del mondo. E poi ancora, l’Africa è il suo conseguente «mal d’Africa» che colpisce già mentre si è lì e si so- gna di doversene distaccare risvegliandosi con un tuffo al cuore. Non la si è ancora lasciata e già si vuole tornare. L’Africa diventa così cibo e acqua per l’anima, e ossigeno per il cuore. Ti fa sentire al posto giu- sto nel momento giusto. Sei lì, in quel momento fai parte di lei, ne accetti le sue difficoltà, impari ad amarla, e nel frattempo ti ruba il cuore. Ho lasciato il mio cuore là, dove so che potrò ri- tornare. Là è al sicuro, perché in Tanzania ha scoperto l’amore. L’Africa non si può spiegare di Rebecca Beltramo Giacone Dodici giovani di Torino. Tre setti- mane in Tanzania, a Tosamaganga. Accom- pagnati da Fabrice Ba- kebe, missionario della Consolata congolese, in Italia da diversi anni. Ecco alcune sugge- stioni sul loro viaggio.
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