Missioni Consolata - Dicembre 2016

2. L’enciclica «Humani Generis» (12 agosto) con cui il papa condannò gli «errori» che, secondo lui, minaccia- vano le fondamenta della religione cattolica, come lassismo, relativismo teologico, alcune interpretazioni della Scrittura e anche la teoria dell’evoluzionismo. Senza mai nominarli condannò l’insegnamento di gi- ganti della teologia come Chenu, Congar, De Lubac e tanti altri che nemmeno dodici anni dopo sarebbero stati gli artefici del concilio Vaticano II che sancirà il loro insegnamento e le loro ricerche non solo come «cattoliche», ma come essenziali nel cammino di fede dell’intera Chiesa. 3. La proclamazione del dogma dell’Assunzione di Maria al cielo (1 novembre) che vide un’enorme par- tecipazione di vescovi, popoli e autorità da tutto il mondo. Per la prima volta da ogni parte della terra si poté «partecipare» agli eventi sfavillanti del giubileo attraverso la radio e la tv che moltiplicherà l’impatto emotivo dei riti e della figura del Papa. Quando tutto stava per concludersi secondo la norma e la prassi, Pio XII tirò fuori un colpo di scena, inatteso e travolgente: la vigilia di Natale del 1950, dopo avere sigillato la porta e pochi istanti prima di concludere il giubileo, annunciò personalmente al mondo il ritrova- mento della tomba di Pietro che gli scavi archeologici nei sotterranei della basilica vaticana avevano confer- mato e certificato. La notizia si diffuse come un ba- leno in tutto il mondo, eccitò gli animi dei credenti e maggiormente dei non credenti, scienziati, storici e studiosi. A completare la notizia e quasi a prolungare la soddisfazione di avere posto ancora una volta il pa- pato al centro del mondo, nonostante il mondo, Pio XII estese a tutto il 1951 le prerogative e le indulgenze dell’anno santo in corso. Ormai anche la Chiesa en- trava nell’era della mondialità e ne approfittò. Se nel vangelo di Giovanni (12,20) i Greci aspiravano di «ve- dere Gesù», ora i pellegrini veri e anche quelli a domi- cilio, mediante radio e tv, anelavano solo a «vedere il papa» e questo gli bastava. Il giubileo dubbioso e l’ingresso nel III Millennio Nel 1975, dieci anni dopo la fine del Vaticano II, toccò a Paolo VI, il papa dubbioso per natura, celebrare il giubileo più controverso dell’età moderna. Egli s’in- terrogò sulla necessità stessa di indire un giubileo e vi oppose obiezioni sostanziali: il concilio aveva indiriz- zato a una religiosità comunitaria piuttosto che di massa; la società era pluralistica e non più maggiorita- riamente cattolica; uno spirito secolare attestato era fonte di un sentire diffuso anticristiano per cui il giubi- leo avrebbe potuto essere controproducente; parlare di «indulgenze» sarebbe potuto apparire fuori luogo nel contesto di un cammino ecumenico ormai irrever- sibile; la «nuova teologia» andava crescendo e gli studi biblici avevano ricevuto un grande impulso dal superamento della paura di una condanna; vi era stato il referendum sul divorzio (1974), battaglia persa amaramente, in modo personale dal papa che si lasciò coinvolgere in una crociata senza senso da Amintore Fanfani, creando un evento traumatico per il cattolicesimo italiano tradizionalista e ancora so- gnante il ritorno alla «cristianità» medievale. Il 9 maggio 1973, nell’indirlo, durante un’udienza pub- blica, Paolo VI disse: «Ci siamo domandati se una si- mile tradizione [del giubileo] meriti di essere mante- nuta nel nostro tempo…». Poi prevalse il rispetto della tradizione da attuare nei tempi nuovi, con spirito nuovo e più spiritualizzato. Il giubileo diventò non più espressione di fede, ma appello alla purificazione della religiosità per una ripresa più consapevole e ge- nuina della fede in Gesù Cristo. Il giubileo spartiacque tra il 1° e 2° millennio cristiano fu quello indetto dal papa polacco, Giovanni Paolo II, che stabilì sette anni di preparazione, quasi con un at- teggiamento apocalittico. Il giubileo ebbe due epicen- tri: Roma e Gerusalemme, dove, per la prima volta, un papa ritornò «ufficialmente» dopo 2000 anni dalla partenza di Pietro per Roma, luogo che l’apostolo consacrò dando la vita per il suo Signore (la visita di Paolo VI nel 1965 a Gerusalemme fu una visita in terra di Giordania e non un ritorno in Palestina). Chi scrive viveva stabilmente a Gerusalemme e fu te- stimone del ritorno di Pietro, quasi un bisogno di es- senzialità e povertà che rimase come desiderio e ten- sione, ripresi oggi da papa Francesco che proclama il giubileo della Misericordia, offrendo ai credenti e al mondo il progetto di Chiesa delineata da Giovanni XXIII, nel discorso di apertura del concilio Vaticano II, l’unico progetto, valido secondo il vangelo e in tutti i tempi: «La Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando» ( Gaudet Mater Ecclesia , 7,2). Il giubileo del 2000, comunque, è ancora contempora- neo a chi scrive e a chi legge non è necessario raccon- tarne anche solo i fatti più rilevanti. Per questo, quindi, rimandiamo alla memoria di chi l’ha vissuto, consapevoli che l’ultimo, quello di papa Francesco, è un giubileo che ha aperto le porte della Misericordia e non le chiuderà mai più perché «il Santo, sia bene- detto, non respinge alcuna creatura. Al contrario, tutte gli sono care e le porte sono sempre aperte per coloro che vogliono entrare» ( Midràsh Esodo Rabbàh 19,4). Paolo Farinella, prete ( 13, fine ) 34 MC DICEMBRE 2016 Misericordia voglio

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