Missioni Consolata - Dicembre 2016
• Giustizia riparativa | Diritti umani | Apartheid • MC ARTICOLI DICEMBRE 2016 MC 17 niera magistrale e con l’autorevo- lezza di chi ha subito in prima persona l’oltraggio dell’ a- partheid , il cuore della conce- zione di giustizia propria della Truth and Reconciliation Commis- sion (Trc) sudafricana, lo stru- mento di cui è stato presidente ideato da alcune eminenti perso- nalità di quella che sarebbe stata definita la «Nazione arcobaleno» allo scopo di fare i conti con la storia d’ingiustizia vissuta dal paese e di gestirne la pesante eredità per il futuro. Un difficile compromesso La Trc è stata il frutto del difficile compromesso tra due posizioni antitetiche: quella del governo e del National party (Np) che vole- vano l’amnistia incondizionata per i crimini dell’ apartheid , consi- derati un «errore» da superare, e quella dei movimenti di libera- zione nazionale, capeggiati dal- l’Anc ( African national congress , partito di cui Nelson Mandela è stato presidente), che chiede- vano l’istituzione di tribunali spe- ciali per l’incriminazione e la con- danna dei responsabili del regime di segregazione razziale e delle gravissime offese ai diritti umani che avevano segnato il paese. Ciascuna delle due opzioni (l’am- nistia incondizionata o l’istitu- zione di un tribunale penale inter- nazionale, sul modello di Norim- berga) avrebbe, con tutta proba- bilità, ulteriormente esacerbato il clima d’odio e allontanato la pos- sibilità di cooperazione tra le di- verse componenti etniche del Su- dafrica. La Trc è nata da una concezione «rivoluzionaria» del rapporto tra verità e giustizia. L’accertamento della verità, infatti, non doveva essere finalizzato all’attribuzione di una condanna, ma alla conces- sione del perdono e alla «ripara- zione» delle persone offese. L’i- dea era quella che per voltare la pagina del passato, prima si do- vesse scriverla e proclamare. I tre comitati La Commissione per la verità e la riconciliazione era articolata in tre sottocommissioni. Il Committee on human rights vio- lations (Comitato sulle violazioni dei diritti umani) aveva il compito di ricevere, analizzare e inserire in un database nazionale le de- nunce delle violenze subite dalle vittime, e di svolgere le inchieste necessarie ad accertarle. Le per- sone offese erano invitate a testi- moniare nella propria lingua, nel corso delle udienze pubbliche che venivano organizzate in prossi- mità dei loro luoghi di vita. Davanti all’ Amnesty Committee (il comitato per l’amnistia) i perpe- tratori - esponenti del regime o suoi avversari, bianchi, neri, me- ticci - erano chiamati alla « full di- sclosure of facts » (cioè la rivela- zione dettagliata delle gravi viola- zioni dei diritti umani perpe- trate), indispensabile per l’even- tuale concessione dell’amnistia. A questo comitato spettava il com- pito di verificare che sussistes- sero le condizioni per la conces- sione del provvedimento di cle- menza, cioè che i crimini «confes- sati» rientrassero tra quelli previ- sti dalla Trc (uccisioni e gravi mal- trattamenti, torture e rapimenti), che fossero stati effettivamente commessi con finalità politiche tra il 1960 e il 1994 e che la rive- lazione di fatti e responsabilità fosse completa. La maggior parte delle domande di amnistia sono state respinte per la mancanza di una di queste condizioni. Sia le udienze dei perpetratori che quelle delle vittime hanno rice- vuto grande copertura mediatica. Infine, il Reparation and rehabili- tation committee (il Comitato per la riabilitazione e la riparazione) doveva occuparsi di determinare l’ammontare, la forma e il tipo di riparazione e di risarcimento spettanti a coloro che venivano riconosciuti vittime. Aveva inoltre il compito di indicare al governo le misure necessarie a ottempe- rare il diritto alla riabilitazione so- ciale delle vittime. I numeri di una scelta libera e volontaria Le vittime che si sono presentate spontaneamente per raccontare le gravi violazioni dei diritti umani subite sono state 22.500. Sono state tra le 1.700 e le 2.500 le persone, appartenenti sia all’Np Io sono perché noi siamo «U buntu […] è una pa- rola che riguarda l’in- tima essenza del- l’uomo. Quando vogliamo lodare grandemente qualcuno, diciamo: “Yu, u nobuntu”, “il tale ha ubuntu”. Ciò significa che la per- sona in questione è generosa, ac- cogliente, benevola, sollecita, compassionevole; che condivide quello che ha. È come dire: “La mia umanità è inestricabilmente collegata, esiste di pari passo con la tua”. Facciamo parte dello stesso fascio di vita. Noi diciamo: “Una persona è tale attraverso altre persone”. Non ci conce- piamo nei termini “penso dunque sono”, bensì: “Io sono umano per- ché appartengo, partecipo, condi- vido”. Una persona che ha ubuntu è aperta e disponibile verso gli altri, riconosce agli altri il loro valore, non si sente minac- ciata dal fatto che gli altri siano buoni o bravi, perché ha una giu- sta stima di sé che le deriva dalla coscienza di appartenere a un in- sieme più vasto, e quindi si sente sminuita quando gli altri vengono sminuiti o umiliati, quando gli al- tri vengono torturati e oppressi, o trattati come se fossero infe- riori a ciò che sono» 1 . (Desmond Tutu) # Bambini di Soweto ( South We- stern Townships ), area subur- bana di Johannesburg prota- gonista della lotta contro l’ a - partheid . Fu in particolare tea- tro del massacro del giugno 1976, frutto della risposta re- pressiva del governo alle pro- teste di quei giorni.
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