Missioni Consolata - Novembre 2016

66 MC NOVEMBRE 2016 della sua eccellenza intellettuale. Questo avvocato lau- reato anche in scienze politiche, lettere e scienze dell’e- ducazione motoria, non fu mai preso in considerazione, per esempio, per un qualunque incarico nell’ambito dello sport italiano. Anzi, una volta fu pure squalificato per tre mesi (anche se in inverno, quando in Occidente non ci sono gare) dalla Fidal, la Federazione italiana di atletica leggera, perché, ormai stanco per un’annata lunga e snervante, si era negato, d’accordo con il pro- fessor Vittori, a una tournée elettorale voluta a fine sta- gione dal presidente Primo Nebiolo, il creatore dell’atle- tica-spettacolo che reputava quel viaggio fondamentale per la sua rielezione a presidente della Federazione mondiale. L’anno successivo, il prodigioso 1979, dovette interve- nire Luca di Montezemolo, presidente della Sisport, so- cietà presso la quale Pietro era tesserato, per evitare a Mennea, che aveva già programmato il suo tentativo di record alle Universiadi, di doversi spremere anche per la solita tournée. Un uomo cocciuto, conscio dei suoi diritti, dai quali non voleva derogare: «A distanza di tempo, con il senno di poi, posso serenamente dire - mi ha spiegato una volta Pietro - che quel contrasto nasceva da una questione antica: il confine nella vita di un atleta fra ap- partenenza a una nazionale e l’appartenenza a se stessi. Tema delicato, complesso». Così ora so che quel giorno allo stadio universitario di Città del Messico ho assistito a un evento storico per davvero. Non è un caso che io fossi al seguito di Mennea quel giorno memorabile, quel giorno in cui mia figlia Marianna, che ora è una manager affermata proprio in Messico, si fece scappare i lacri- moni (aveva cinque anni) e non volle salire sul podio con Pietro, come aveva fatto invece nei giorni precedenti alla premiazione delle staffette. Dopo Muhammad Ali (il suo ritratto su MC di maggio 2016, ndr ) seguivo sistematicamente Mennea perché, a suo modo anche lui era fuori dagli schemi, da come i giornalisti vorrebbero che i campioni del nostro tempo fossero, obbedienti, conformisti anche quando si tocca la loro libertà personale e al servizio, sempre, delle esi- genze dei mezzi di comunicazione. Muhammad Ali e Mennea furono salvati dai risultati, altrimenti sarebbero stati masticati e sputati via come Maradona, quando non è stato più in grado di vincere e quindi di essere utile al mercato del- l’informazione. Per capire la sua caparbietà, ricorderò un’esperienza perso- nale. Una volta, per un reportage commissionatomi dalla Rai, riunii su una spiaggia della California, Mennea con il leggenda- rio Tommie Smith (quello della protesta, con il pugno nero guantato, alle Olimpiadi di Messico ’68) e Steve Williams, sprinter dotatissimo, ma amante della bella vita. Ad un certo punto, Tommie e Steve, uno per parte, alzarono Pietro da terra per far vedere quanto era più piccolo di loro: la diffe- renza era di una spanna, una spanna più che compensata dalla sua caparbietà. Eppure, molti tentarono più volte di sbia- dire il suo valore: «Il record di 19’ e 72” - pontificavano co- storo - lo ha stabilito correndo in altura». Non tenevano in conto che lo stesso Smith recordman prima di Pietro (19’ e 83”) aveva corso la distanza nello stesso stadio universitario di Città del Messico. Il record di Pietro fu poi battuto da Johnson ad Atlanta nel ’96. Aveva resistito per 17 anni. M ennea era un uomo schivo e perbene che scriveva li- bri di giurisprudenza sportiva e, specie quando fu eletto al Parlamento europeo, lavorò molto per lo sport e il bene comune. Era un uomo curioso e, al contrario di quello che pensano molti, spiritoso e ironico. Una volta mi raggiunse a Las Vegas, dalla California, insieme a Steve Wil- liams, Ray Sugar Robinson e Nino Benvenuti per conoscere Cassius Clay-Muhammad Ali. Un mito vero che quella sera, sulla via del tramonto nel penultimo match della sua vita, aveva perso contro Larry Holmes, il suo ex sparring partner. «Questa è la vita» aveva commentato Pietro ad Ali che si era stupito vedendolo bianco e apparentemente fragile. «Sono bianco, ma nero dentro, nel cuore», aveva ribadito Mennea. Gianni Minà # Da sinistra a destra : Lee Evans (primatista dei 400 e olimpionico a Messico ‘68), Pietro Mennea (primatista e olimpionico), Tommie Smith (primatista dei 200 e olimpionico a Messico ‘68) e Gianni Minà. Persone che conosco

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