Missioni Consolata - Novembre 2016
NOVEMBRE 2016 MC 65 MENNEA , UNA «FRECCIA» BIANCA, LIBERA E TESTARDA Dopo le polemiche sulle mancate Olimpiadi a Roma, ricordiamo Pietro Mennea, un mito dell’atletica mondiale, ma anche un grande uomo, troppe volte incompreso. Persone che conosco Personaggi e luoghi con gli occhi di Gianni Minà «N on abbiamo nemmeno gli occhi per pian- gere e vogliamo concorrere per organiz- zare le prossime Olimpiadi del 2020», mi disse una volta Pietro Mennea (1952- 2013) non tanto tempo prima di andarsene da questo mondo. Allora c’era il governo Monti (che, nel febbraio 2012, disse no ai giochi olimpici, ndr ) e i businessmen dello sport non ebbero nemmeno il coraggio di «buttarla in poli- tica» come oggi con la sindaca Virginia Raggi, anche se vec- chi «attrezzi» del settore come l’ex presidente del Coni e presidente del comitato organizzatore di Roma 2020, Mario Pescante, non seppero trattenersi dal farlo, dimenticandosi che Mennea, dopo la miracolosa e commovente rimonta fatta a Mosca nell’80, le Olimpiadi le amava come nessun altro, perché erano diventate l’esempio della sua capacità di non darsi mai per vinto. Il fatto è che i giochi, chi li ha disputati e li ha vinti, li rispetta, mentre chi dello sport si è occupato solo a parole li vede esclusivamente come una possibilità di speculazione, spesso spudorata (basti pensare al recente fallimento eco- nomico della Grecia di cui l’Olimpiade del 2004 è stata una delle cause scatenanti). Pietro, quella volta, dopo aver espresso con coraggio la sua opinione, come sempre, lasciò cadere la polemica. Non ne valeva la pena. L’uomo era fatto così. Era testardo, rigoroso e dalla memoria lunga. Per questo non era simpatico a molti critici e giornalisti, ma certamente è stato uno dei più grandi campioni sportivi di cui l’Italia abbia potuto vantarsi, per la coerenza e per l’esempio di sacrificio che ha scelto di perseguire in tutta la sua carriera. M ennea era un figlio del Sud, un campione di corsa che spesso non aveva neanche una pista per alle- narsi e che, però, ha saputo smentire, nella sua atti- vità di velocista, tutti i luoghi comuni su di lui (antipatia, diffi- denza, struttura fisica inadeguata) anche quelli espressi dai più esperti. Gianni Brera, uno dei più competenti fra noi giornalisti, scrisse di lui: «Un fiore prodigioso sbocciato nella confusa giungla del nostro ethnos depauperato in troppi secoli di stenti e di umiliazioni». Il tempo si è incaricato di spiegarci che il grande Giuan si sba- gliava sui limiti fisici concessi dalla natura a noi italiani, spe- cie quelli del Sud. Ma il primo a smentirlo fu quel ragazzo di Barletta un po’ «stortignaccolo» che puntava tutto sulla sua caparbietà e sulla predisposizione al sacrificio negli allena- menti imposti dal suo mentore, il professor Carlo Vittori. Mennea soffriva per quell’incomprensione dei giornalisti e anche, talvolta, per la sua timidezza dialettica che non gli permetteva, sempre, di rispondere per le rime a tanti pre- suntuosi. Rimediava comunque sempre con i risultati fin da quando, a vent’anni, nelle tragiche Olimpiadi del ’72 (se- gnate dal sangue del terrorismo) aveva vinto la medaglia di bronzo dietro il fuoriclasse russo Valery Borzov e al norda- mericano Larry Black. Il suo orgoglio gli avrebbe permesso di prendersi la rivincita sullo zar russo agli Europei di Roma ’74 e successivamente di trionfare a Praga ’78. Eppure, solo due anni prima, alle Olimpiadi di Montreal, dove Mennea era arrivato «solo quarto», anche il grande Giovanni Arpino su La Stampa , non era riuscito a evitarsi questo commento: «Mennea passeggia scheletrico, le orbite troppo grandi nel verde rasato e fortificato del villaggio». Per fortuna, si erano poi incaricati definitivamente di dare a Mennea quello che era di Mennea prima il suo record del mondo sui 200 metri (un fantastico 19’ 72”) alle Universiadi di Città del Messico (il 12 settembre del 1979) e poi la prodi- giosa rimonta sull’inglese Allan Wells nell’Olimpiade di Mo- sca ’80 che gli valse la medaglia d’oro. Basterebbero questi ricordi per rendere indiscutibile il fatto che PietroMennea è stato il più prestigioso atleta dello sport italiano. Ma la sua puntigliosa abitudine di non allinearsi con l’apparato, non gli permise mai di godere della gratitudine che aveva ampiamente meritato, né del riconoscimento # A lato : Pietro Mennea taglia il traguardo dei 200 metri a braccia alzate alle Olimpiadi di Mosca 1980.
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