Missioni Consolata - Novembre 2016

volte centinaia di persone che vengono letteralmente catapul- tate in un quartiere, in un paese, senza essere state preparate a en- trare in relazione con gli abitanti del posto e senza che questi siano pronti a riceverle, perché nessuno ha fatto un lavoro di mediazione. La mediazione è fondamentale Jacqueline è originaria dell’Africa Occidentale, fa la mediatrice in- terculturale e collabora con di- versi enti che si occupano di acco- glienza. «Che cosa risponderei a chi pensa che questo lavoro lo fac- ciamo solo per i soldi?», dice con un sorriso un po’ amaro. «Cre- dimi, se lo facessimo per quello non reggeremmo a lungo le dieci, quindici ore al giorno che ti capita di lavorare e la responsabilità umana che hai quando una per- sona che assisti ti chiama di notte in lacrime». Il ruolo del mediatore interculturale, continua Jacque- line, è quello di permettere agli italiani e ai migranti di conoscersi e magari di capirsi. Inoltre segue i migranti assistiti nelle procedure sanitarie e legali e garantisce un accompagnamento - anche se non di tipo psicologico - alle persone che hanno subito traumi dovuti alle violenze nel paese d’origine e durante il viaggio verso l’Italia. Traumi come quelli patiti da Peter (nome di fantasia), che stava dor- mendo quando i terroristi di Boko Haram, una notte del gennaio 2014, sono arrivati nel suo villag- gio nel Nord Est della Nigeria e hanno iniziato a sparare, distrug- gere e incendiare. Hanno preso lui per mostrare agli altri abitanti del villaggio che cosa sarebbe suc- per l'istruzione dei migranti, costi sostenuti da enti diversi dal mini- stero dell'Interno. La spesa totale, nei dati del Mef, è pari a 3,3 mi- liardi per il 2015 e altrettanti (sti- mati) per il 2016, di cui i costi per l’accoglienza rappresenterebbero la metà, cioè circa un miliardo e seicento milioni. Se tutti gli enti gestori fossero «virtuosi», questa cifra tornerebbe per la maggior parte sul territorio sotto forma di stipendi, affitti, acquisti di beni e servizi. Ulteriore ricaduta è quella legata ai tirocini formativi per i migranti: ad esempio al Cas di Alpignano, ri- ferisce Fabrizio, operatore del centro, ne sono partiti undici, so- stenuti dalla cooperativa Pietra Alta con trecento euro al mese per venti ore settimanali, mentre l’azienda paga i costi assicurativi e i versamenti Inail. Ad oggi, due dei richiedenti asilo lavorano nella manutenzione delle scuole, cin- que in alcuni ristoranti di Torino come aiuto cuoco, due in aziende agricole, uno in un vivaio e uno in un negozio di conserve e olio. Gli ostacoli all’accoglienza fatta bene Il punto è che, data la poca chia- rezza sugli enti gestori lamentata nel rapporto InCAStrati , è difficile quantificare l’accoglienza fatta bene. Il sistema governativo, o Sprar, è riconosciuto come il più efficiente perché ha meccanismi di affidamento e rendicontazione più rigorosi. Nelle parole, ripor- tate da Vita.it , del prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento libertà civili e immigrazione del Vi- minale, «i Cas vanno eliminati, tra- sformandoli man mano in Sprar, progetti dove i capofila non sono privati ma i Comuni». Ma la parte- cipazione dei comuni è del tutto volontaria e, nell’ultimo bando, due su cinque dei posti Sprar di- sponibili sono rimasti vuoti. Segno che i comuni faticano ad aderire. Il risultato, paradossale, è che ma- gari in quei comuni i richiedenti asilo arrivano lo stesso, proprio nei Cas gestiti da privati e enti vari. «E così la comunità locale si trova una specie di astronave che atterra sul suo territorio», rac- conta Davide Bertello: decine, a Cooperando… 54 MC NOVEMBRE 2016 cesso a chi si rifiutava di farsi re- clutare, gli hanno colpito la mano con una pietra da mortaio fino a rompergli le ossa. Si è risvegliato nell’ospedale di una cittadina vi- cina, dove ha trovato due dei suoi figli, mentre della moglie e della fi- glia più piccola non ha avuto noti- zie. Durante tutto il suo racconto, che va dalla notte dell’attacco al- l’arrivo in Italia passando per la Li- bia, resta calmo e lucido; cede sol- tanto al ricordo dell’umiliazione subita in Libia quando, cercando lavoro per poter sopravvivere in- sieme ai due bambini che ha por- tato con sé, si è sentito rispon- dere: «Come fai a lavorare, tu? Sei solo uno storpio senza una mano». Arrivato in Italia nel giu- gno del 2015, ora ha ottenuto il ri- congiungimento familiare con la moglie e la figlia, che - come ha saputo solo mesi dopo l’attacco al villaggio - erano riuscite a mettersi in salvo ed erano poi state trasfe- rite, insieme ad altri del villaggio, in un campo rifugiati in Niger. La preparazione per l’audi- zione in Commissione «Un altro degli impegni a cui cer- chiamo di fare fronte è proprio quello di mettere persone come Peter in condizioni di fare una de- scrizione chiara alla Commissione territoriale, che valuta la loro ri- chiesta d’asilo», spiega ancora Jacqueline. Di questa descrizione chiara fanno parte, oltre che un racconto comprensibile e circo- stanziato, le prove da presentare alla Commissione, ad esempio le verifiche sanitarie che dimostrano le violenze subite. «Questo è un lavoro fondamen- tale», insiste Davide Bertello. «È

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=