Missioni Consolata - Novembre 2016
44 MC NOVEMBRE 2016 Cina-TibeT N H mage Gallery/Flickr com zioni locali. In più, per facilitare l’estrazione delle risorse naturali, le autorità costringono i nomadi a stabilirsi in villaggi costruiti ad hoc dove perdono le loro prati- che tradizionali e quindi i loro ri- ferimenti culturali. A Dharamsala abbiamo parlato di questi problemi con Tempa Gyalt- sen Zamlha, ricercatore del Ta- volo dell’Ambiente del Tibet Po- licy Institute (presso il governo ti- betano in esilio). Ci può spiegare il suo lavoro al Tavolo ambiente e sviluppo e i suoi principali obiettivi? «Il Tavolo è stato istituito nel- l’ambito del Policy Institute tibe- tano a Dharamsala: da qui moni- toriamo la situazione ambientale in Tibet. Cerchiamo anche di informare la comunità internazio- nale sull’importanza ecologica dell’altipiano del Tibet a livello mondiale. Ci rivolgiamo partico- larmente al governo e alla popo- lazione cinese. Il nostro obiettivo è quello di proteggere l’altipiano più alto e più esteso del mondo, che ospita la più grande concen- trazione di ghiacciai dopo i due poli, e anche la sorgente dei fiumi più importanti dell’Asia. Lavo- riamo anche perché la civiltà tibe- tana, che ha prosperato per mi- gliaia di anni, possa continuare a vivere una vita sana e felice, e an- che perché le nazioni a valle con- tinuino a godere dei fiumi da cui le loro civiltà dipendono. Per i tibetani, la missione ambien- tale è uno dei compiti più urgenti. Sua Santità (il Dalai Lama) ha detto una volta che la questione politica può attendere, ma non l’ambiente». Quali sono le principali sfide ambientali di oggi per il Tibet? «Le principali minacce sono i cambiamenti climatici, ma anche l’impatto umano, in particolare l’eccessiva attività mineraria. Come tibetani, abbiamo un rap- porto molto intimo con la natura, perché crediamo che Dio sia pre- sente in tutto, nelle montagne come nei fiumi. Le cose sono radicalmente cam- biate dall’occupazione cinese del Tibet nel 1950. Ad esempio sono state costruite strade e linee fer- roviarie che rendono l’estrazione molto più facile, economica e redditizia. Inoltre, la Cina ha co- struito molte centrali idroelettri- che, indispensabili per l’indu- stria». «I tibetani non sono contro l’es- trazione di per sé, ma contro l’es- trazione nei pressi di villaggi, di corpi idrici, di montagne sacre o di praterie usate dai nomadi. Per le attività minerarie nella vasta pianura del Nord dove c’è meno popolazione, non c’è quasi nes- suna protesta. Le montagne sacre hanno un forte legame storico, culturale, politico e spirituale con la vita del popolo tibetano. Non lontano da Lhasa (capitale del Tibet cinese), ad esempio, si trova il Monte Yarlha Shampo. Esso era la resi- denza di un dio della religione tradizionale Bon. Il primo dei sette ministri nobili nella storia del Tibet che nel 7° secolo d.C. hanno contribuito alla ricostitu- zione del regno, era considerato figlio di Yarlha Shampo. Ci sono molte montagne sacre simili in Ti- bet, che sono rispettate e pro- tette dalla gente». Che legame c’è fra la sacralità di un monte e la resistenza am- bientale delle comunità? «La credenza nella sacralità di un luogo svolge un ruolo importante nella sua conservazione e prote- zione. La biodiversità in queste aree è infatti più elevata: la gente cerca di non tagliare alberi o cac- ciare animali. Non tutte le monta- gne sono considerate sacre, ma se studiamo la posizione dei siti sacri saremo sorpresi di notare che corrispondono alle zone più importanti dell’ecosistema locale, alla montagna con più ghiacciai, al lago che è fonte di molti fiumi, a una zona umida che sostiene la vegetazione nella regione. La cre- denza nella sacralità di una mon- tagna è un fenomeno antico e an- che molto intelligente: è grazie a questo che i tibetani hanno pre- servato gli ecosistemi per migliaia di anni, nonostante le dure condi- zioni climatiche, a una quota tanto estrema». tommy@chau/Flickr com
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