Missioni Consolata - Novembre 2016
38 MC NOVEMBRE 2016 A sinistra : padre Antonio Bonanomi in una foto recente. In basso: donna indigena del Cauca (la collana è il regalo per la sua mater- nità). Pagina seguente : il porticciolo sul fiume Caguán a Remolino, nel Caquetá. «La narcoeconomia è una realtà globale, non solo co- lombiana. È parte della cultura mafiosa che ha invaso tutto il mondo. Per questo sono necessarie risposte globali, specialmente da parte dei paesi più ricchi, dove più alta è la commercializzazione e il consumo di droghe. Una delle proposte è la liberizzazione del commercio e del consumo di queste sostanze. Per tor- nare alla Colombia, l’accordo fra il governo nazionale e le Farc-Ep, al quarto punto, prendeva in considera- zione il tema del narcotraffico e proponeva la crea- zione di alternative concrete, come progetti produt- tivi, piani alimentari, possibilità di accedere a servizi speciali di educazione e di salute, affinché i coltivatori possano abbandonare le coltivazioni illecite, senza ri- cadere nella povertà». I popoli indigeni e le Farc-Ep Lei ha vissuto per quasi 20 anni tra i Nasa. Questi 52 anni di conflitto cosa hanno signi- ficato per i popoli indigeni della Colombia? «Fin dall’inizio le Farc-Ep si sono ubicate nei territori dei popoli indigeni, sulla cordigliera o nella selva. Normalmente le relazioni fra le due realtà sono state ambigue. Da una parte vi era una certa sintonia perché i popoli indigeni, come le Farc-Ep, lottavano per la terra e contro lo stato e il governo nazionale. Dall’altra parte vi era un certo antagonismo perché i popoli indi- geni si consideravano gli unici legittimi proprie- tari del loro territorio ed esigevano il rispetto della loro cultura. I popoli indigeni in generale hanno accettato la guerriglia come alleata però non come padrona. Proprio per questo negli anni Ottanta, nel Nord del Cauca, il popolo Nasa aprì le porte al M19 e creò un gruppo guerrigliero proprio, il Quintín Lame, contro le Farc-Ep, perché queste volevano essere padrone del territorio e non rispettavano la cultura indigena». Ecco il punto, padre Bonanomi: cultura indigena e cultura della guerriglia sembrano molto di- stanti. «È vero. C’è sempre stata una forte opposizione fra la cultura marxista e materialista delle Farc-Ep e la cul- tura spiritualista dei popoli indigeni, fra la lotta per il potere delle Farc-Ep e la lotta per l’autonomia dei po- poli indigeni. Quando nel 2012 iniziarono le trattative in Cuba, molti leaders indigeni espressero dubbi e perplessità sull’ac- cordo e chiesero di essere ascoltati. Fortunatamente il testo definitivo dell’accordo riconosce i diritti e le esi- genze delle minoranze etniche, e quindi anche dei po- poli indigeni, e questo ha spinto le loro organizzazioni e autorità a promuovere il voto per il “sì” al referen- dum del 2 ottobre. Io credo che l’accordo, ove attuato, sarebbe un’oppor- tunità per i popoli indigeni della Colombia nella loro lunga lotta per l’autonomia territoriale, socioecono- mica, politica e culturale». Paolo Moiola © Paolo Moiola © archivio MC
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