Missioni Consolata - Novembre 2016

ziente lavoro psicologico e spirituale per la conver- sione della mente e del cuore; un processo di forma- zione e di preparazione a un lavoro concreto». I numeri delle vittime sono impressionanti. Che cosa si può dire a una persona che ha perduto un familiare o a uno sfollato? «Se consideriamo chiuso il conflitto armato, riman- gono però le sue conseguenze: migliaia di morti e fe- riti, di scomparsi e di sfollati. È una piaga aperta nella memoria nazionale e un mare di dolore nel cuore di molti. Nel quinto punto dell’accordo si prevedevano misure per dare una risposta a questa situazione. Sarà necessaria una azione psicologica e spirituale per la cura delle ferite. Oltre che di parole di consolazione, c’è bisogno di gesti concreti che aiutino le persone a guardare e a costruire il futuro con speranza». Lei parla di un lavoro a livello psicologico e spiri- tuale. Ha qualche esempio concreto inmente? «L’esempio più famoso è quello delle “Scuole di per- dono e riconciliazione” ( Escuelas de perdón y reconcilia- ción , Es.Pe.Re.), fondate da padre Leonel Narváez Gó- mez, un missionario della Consolata colombiano spe- cializzatosi in Inghilterra e Stati Uniti. A livello locale ricordo anche il consultorio psicologico che un altro missionario della Consolata, padre RenzoMarcolongo, aprì a San Vicente del Caguán». Torniamo alla dura realtà. La narcoeconomia ha radici profonde nella società colombiana. Come fare per ridurre i danni che provoca? NOVEMBRE 2016 MC 37 «È verissimo che le cause del conflitto armato che ha accompagnato tutta la storia della Colombia, non sola- mente gli ultimi 52 anni, sono tutte ancora in piedi, però è anche vero che i rappresentanti del governo na- zionale e delle Farc-Ep, che hanno lavorato a Cuba per la definizione dell’accordo, hanno preso in seria consi- derazione le cause del conflitto e hanno cercato di pro- porre delle soluzioni. Si sarebbe dovuto aprire un lungo e difficile periodo di lavoro per mettere in pra- tica le riforme contenute nell’accordo. Oggi, in una Co- lombia resa più polarizzata dal voto, il cammino verso una pace giusta si è trasformato in una sfida se possi- bile ancora più grande». I guerriglieri e le vittime Come si fa a reinserire nella società, nella vita ci- vile e nella politica migliaia di persone che, per anni, hanno vissuto da guerriglieri? La storia co- lombiana parla già di due fallimenti, quello dell’U- nione patriottica (i cui esponenti furono tutti eli- minati in pochi anni) e quello delle milizie Auc (i cui membri sono andati a ingrossare le fila della criminalità organizzata). «Il problema è reale: negli anni vissuti a Toribío ho vi- sto la difficoltà di coloro che decidevano di lasciare la guerriglia a reinserirsi nel cammino della loro famiglia e della loro comunità, e allo stesso tempo la difficoltà delle famiglie e delle comunità a riceverli di nuovo. Era evidente un clima di estraneità da entrambi le parti. Già con la vittoria del “sì” non sarebbe stato facile il reinserimento (anche perché il conflitto ha lasciato strascichi di odio, di risentimento e di voglia di ven- detta), con la vittoria del “no” sarà ancora più difficile. È necessario percorrere un duplice cammino: un pa- Qui sopra: una via di Toribío dopo un attacco delle Farc con rudimen- tali cilindri di gas (anno 2005). Pagina precedente : padre Giacinto Fran- zoi mostra una barretta di cioccolato Chocaguan . © Gianantonio Sozzi DOSSIER MC PACE IN COLOMBIA?

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