Missioni Consolata - Novembre 2016

36 MC NOVEMBRE 2016 L’esperienza / 2 L’attesa si prolunga Nella valle del fiume Caguán, in Caquetá, la guerra e la coca sono di casa. Giacinto Franzoi ricorda i suoi anni trascorsi in quei luoghi sperduti e pericolosi. Enon tace la sua delusione per un «no» che, comeminimo, prolungherà un insostenibile «status quo». bole e la guerriglia doveva assicurarsi le garanzie dopo una eventuale firma di accordo di pace. Dopo 52 anni di guerra costerà molto a questi combat- tenti tentare la convivenza, ma bisogna crederci. La strada da percorrere è molto lunga per dare alle milizie guerrigliere quanto concordato. Complimenti a quanti hanno creduto in questa uscita dal problema e ai portatori della cultura della convi- venza, attraverso il dialogo, il confronto e il riconosci- mento reciproco. Complimenti anche a quei campesi- nos di Remolino che hanno seminato un albero diverso dalla « mala yerba » (la coca). Un’impresa ( Chocaguan ) ideata dalla parrocchia e amministrata dal comitato dei coltivatori di cacao. Una piccola pietra nel difficile mo- saico della pace. Q uando tutta l’opinione pubblica nazionale e in- ternazionale dava per scontata la vittoria del «sì», allo spoglio delle schede la sorpresa è stata enorme. Per 60 mila voti in più ha prevalso il «no». Se la democrazia sembra aver vinto, gli sforzi fatti negli ol- tre 4 anni di dialoghi sembrano ora scritti sulla sabbia. Ha prevalso il vento della vendetta, l’azione di forze oc- culte (politiche ed economiche), l’incapacità di perdo- nare e riconciliarsi per un progetto comune, la emoti- vità di un popolo che si entusiasma per nulla e celebra il lutto al suono dei mariachi . Rimane lo status quo e l’incertezza sul futuro. Vince un vecchio presidente della repubblica, il signor Uribe, con nell’armadio un passato sospetto di delitti, di conni- venze con i gruppi paramilitari, di difesa del latifondi- smo e di altri interessi di potere. Anch’io ci sono rimasto male. Come tutte quelle mamme che dovranno attendere ancora per poter ri- conoscere e piangere i propri figli. Giacinto Franzoi T rent’anni di vita missionaria lungo il fiume Ca- guán, prima a Cartagena del Chairá e poi a Remo- lino, a contatto diretto con il conflitto colom- biano, mi inducono a fare alcune considerazioni, in una lettura retrospettiva di cause ed effetti. Quella guerra ha prodotto milioni di desplazados in terra propria. E altrettanti sono quelli scappati in tutto il mondo, per fuggire dalla paura e dalle minacce, alla ricerca di un la- voro per sostenere la propria famiglia, per sentirsi liberi in casa altrui. Le Farc (la guerriglia più antica del mondo), le Auc, i narcotrafficanti: sono stati cinquanta anni di parole e di massacri. Nella mia casa di missione, a Remolino, ho avuto l’opportunità di ospitare sia alti miliari che i co- mandanti delle Farc, oggi tutti seduti attorno al tavolo de L’Avana. Quando li ascoltavo, notavo la mutua inca- pacità di fermarsi, come per dire che non c’era uscita dal conflitto se non per via armata. Tagliati fuori dalle sedie del potere, ogni forza sociale veniva zittita e dissuasa dalla partecipazione politica (come successe per l’ Unión patriótica , Up, a metà degli anni Ottanta, ndr ) e dal proporre uscite dignitose da una guerra senza fine. Eppure, chi aveva più diritto di parlare era la popolazione, quella che riempiva le fosse comuni, che soffriva le angherie dei protagonisti del conflitto, il condizionamento di ogni scelta. La guerra è proseguita tra contraddizioni infinite, dop- pia morale, tentativi di qualche presidente della repub- blica (Andrés Pastrana, ndr ) di sperimentare forme di dialogo. Con il Plan Colombia (iniziato nel 1999, ndr ) e l’alleanza con gli Stati Uniti sono arrivati migliaia e migliaia di sol- dati, che hanno iniziato una nuova modalità di fare la guerra. Armi sosfiticate e l’aereonautica militare hanno avuto un ruolo determinante nel dare un colpo mortale agli alti comandi delle Farc. La loro influenza sui terri- tori è diminuita sempre di più. Centinaia di guerriglieri sono stati abbando- nati al loro destino. Prima che fosse troppo tardi le Farc hanno deciso di mandare un messaggio alla società colombiana: era arri- vato il momento di sedersi attorno ad un ta- volo. La chiesa colombiana ha accompa- gnato la linea del dialogo soprattutto con mons. Castro, missionario della Consolata. A l’Avana c’era bisogno di conquistare la fi- ducia dell’altro e la maniera più efficace era quella di non lasciare il tavolo, anche se le in- comprensioni sono state molteplici e sem- pre più intricate. I temi erano di somma im- portanza e nessuno voleva perdere terreno. Il governo non poteva dimostrarsi troppo de- © archivio Giacinto Franzoi

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=