Missioni Consolata - Novembre 2016

Artigiani della pace e artigiani della guerra Da tempo monsignor Luis Augusto Castro, missio- nario della Consolata, arcivescovo di Tunja e at- tuale presidente della Conferenza episcopale co- lombiana (Cec), lavora per porre fine alla guerra ci- vile, tanto da essersi meritato l’appellativo di « arte- sano de la paz » (artigiano della pace). Per anni missionario prima e vescovo poi nei dipar- timenti del Caquetá e Putumayo ad alta presenza guerrigliera, mons. Castro è noto per la sua azione di mediatore con le Farc, anche in favore delle per- sone da esse sequestrate. Il fatto più noto è la libe- razione, nel giugno del 1997, dei soldati catturati dalla guerriglia nella base militare di Las Delicias (Puerto Leguízamo, Putumayo). Fondamentale ancorché lontano dai riflettori è stato il suo apporto ai colloqui di pace tra il governo Santos e le Farc, con grande disappunto dell’ex pre- sidente Álvaro Uribe, con il quale il prelato ha sem- pre avuto rapporti piuttosto freddi. A giugno, dopo la firma del cessate il fuoco, Uribe ha rilasciato un duro comunicato in cui parlava di «pace ferita». Ad esso ha risposto, per via indiretta, mons. Castro parlando di «pace rafforzata». Peccato che anche in seno alla Conferenza episco- pale non tutti siano dalla parte dell’arcivescovo di Tunja. Fuor di metafora, la decisione della Cec di non suggerire il «sì» per il quesito referendario del 2 ottobre è stata una evidente presa di distanza dal- l’azione del suo presidente. D’altra parte, è risa- puto, anche se spesso detto sottovoce, che molti ve- scovi sono schierati con Álvaro Uribe. Sul dibattito 32 MC NOVEMBRE 2016 intorno alla tematica dell’accordo è molto istruttiva la lettura di un sito - www.votocatolico.co -, che ha fatto una campagna durissima per il «no». Tra gli interventi pubblicati, c’è quello di padre Ma- rio García Isaza, formatore del seminario arcidio- cesano di Ibagué. Padre Isaza parte dalla boccia- tura linguistica del testo per passare a quella della riforma agraria che, a suo dire, metterebbe a ri- schio la proprietà privata, per finire con la con- danna dell’aberrazione (testuale) di includere nel- l’accordo anche le persone omosessuali. Sullo stesso sito, mons. Libardo Ramírez vede negli ac- cordi un futuro con ancora più guerre. Opinione però non condivisa dalla diocesi di Quibdó (Chocó), pubblicamente espressasi per il «sì». Dietro la guerra c’è... Il referendum del 2 ottobre ha abbattuto il muro dell’ipocrisia. Come ci ha confessato più di un co- lombiano, la realtà può essere letta anche in questo modo: «La guerra significa soldi, la pace significa incertezza e può significare anche miseria». L’affer- mazione contiene elementi di verità, ma è altret- tanto vero che chi ci guadagna dal mantenimento dello status quo sono principalmente i ricchi o co- munque i potenti. Vale la pena di concludere con le parole di mons. Castro, parole di speranza ma anche di sano reali- smo, pronunciate prima del referendum del 2 otto- bre: «Quello che è decisivo è ciò che verrà dopo, nel postconflitto. Questo significa costruire una Co- lombia nuova che corregga gli errori che diedero inizio al conflitto». Errori che adesso, dopo la vittoria del «no», sarà ancora più difficile correggere. Paolo Moiola Qui sopra: un volantino spiega le (discutibili) ragioni del «no» al re- ferendum del 2 ottobre 2016. Pagina seguente: una veduta dall’alto di Toribío, piccolo centro del Cauca per anni luogo di scontro tra guerri- glieri, militari e popolazione indigena. © Raul Arboleda / AFP

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