Missioni Consolata - Ottobre 2016
l’Interno all’Anci, l’ Associazione nazionale dei comuni italiani . Le esperienze di accoglienza presso abitazioni private e nuclei fami- liari, si legge nel Rapporto an- nuale Sprar 2015 , sono attivate nei comuni di Torino, Parma e Fi- denza, con una sperimentazione in corso nel comune di Milano. A Torino, sono l’ Ufficio stranieri del Comune, diverse associazioni e l’Upm a coordinare il progetto: quello attuale è iniziato nel 2014 e ha quasi concluso l’inserimento di 28 rifugiati usciti dai centri di prima accoglienza. Il contributo alla famiglia che ac- coglie, finanziato con fondi Sprar per i sei mesi previsti, è di 413 euro al mese per le spese di vitto, alloggio e utenze della persona accolta; si consiglia alle famiglie di dare circa 90 euro al rifugiato come argent de poche . «Il ruolo dell’Upm e delle associa- zioni», spiega ancora Alessia, «è quello di segnalare al comune i ri- chiedenti asilo che hanno i requi- siti. Per essere coinvolti nel pro- getto, infatti, queste persone de- vono conoscere la lingua e aver manifestato la volontà di investire le proprie energie per inserirsi nel territorio. Si fa una valutazione anche sul profilo professionale, per favorire l’inserimento lavora- tivo. Finora i beneficiari sono in maggioranza uomini fra i venti e i trent’anni che hanno competenze bene?», chiede Antonello a uno dei giovani, che di recente ha avuto problemi di salute. «No scuola, no pocket money !», avver- tono gli altri ridendo. «Ci sono delle regole precise», spiega An- tonello, «e, sempre in un clima di dialogo e di disponibilità a con- frontarsi, il ruolo degli operatori è anche di ricordare queste regole». Ad esempio, i ragazzi possono avere ospiti per i pasti, ma non di notte. I giovani afghani vivono soli in questa casa; gli operatori e i vo- lontari di Terremondo passano a trovarli almeno un paio di volte a settimana e sono in contatto co- stante. Il rifugio diffuso Ma c’è un modo di fare acco- glienza ancora più «molecolare»: il rifugio diffuso, nel quale sono le famiglie ad aprire la porta di casa a un migrante. Alessia, dell’ Ufficio per la Pastorale dei Migranti (Upm) della Diocesi di Torino, rac- conta com’è nata questa espe- rienza: «Tutto comincia nel 2008 con “Adotta un rifugiato”, inizia- tiva del Comune e di alcune asso- ciazioni, che ha avviato oltre un centinaio di accoglienze in fami- glia. Dati i buoni risultati, poi, que- sta modalità è entrata nello Sprar», il S istema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati isti- tuito dalla legge «189/02 Bossi- Fini» e affidato dal ministero del- nella ristorazione, nell’agricoltura e nell’allevamento, spesso perché in questi ambiti lavoravano già nel loro paese. C’è una sola donna, nigeriana, ex vittima di tratta». Anche con le famiglie si fa un la- voro preparatorio per spiegare i dettagli del progetto e cercare di prevenire possibili problemi: «Quella che nasce è a tutti gli ef- fetti una convivenza e il suo obiet- tivo è quello di rendere autonomi i rifugiati». Come? Permettendo loro di migliorare l’italiano, di co- noscere altre persone e di venire a contatto con le opportunità di lavoro. La preparazione con le famiglie cerca di evitare che queste ultime si creino aspettative, ad esempio quella di avere un po’ di compa- gnia - desiderio che emerge a volte quando ad accogliere sono persone anziane - o di ricevere un aiuto in casa, magari nell’assi- stenza ai malati. Nulla vieta che relazioni di questo tipo possano svilupparsi, se il rifugiato e la fa- miglia lo vogliono; ma il punto di partenza è quello di una condivi- sione di spazi nel reciproco ri- spetto. Anche qui, non va sempre tutto bene. È il caso di una convivenza conclusa dopo soli quindici giorni per screzi legati al cibo e forse an- che ad aspettative deluse. Ma non sono la norma, spiega Alessia, gli esempi positivi sono tanti: ci sono famiglie che accantonano i 413 euro e, alla fine dei sei mesi, con- segnano al rifugiato il denaro così risparmiato. E ci sono migranti che a loro volta si offrono per ac- coglierne altri, come a voler resti- tuire l’aiuto che hanno ricevuto. «Accomunare le realtà come il Cas di Alpignano, l’appartamento di Porta Palazzo o il rifugio diffuso alle accoglienze in massa, magari in strutture fatiscenti, o alle occu- pazioni è fuorviante», commenta Sergio Durando, direttore del- l’Upm. Chiara Giovetti (fine prima puntata) Cooperando… 68 MC OTTOBRE 2016 # Tv per tutti nell’appartamento di Porta Palazzo che ospita sette giovani rifu- giati afghani.
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