Missioni Consolata - Ottobre 2016
paese dell’Africa occidentale e parlo le lingue degli ospiti del Cen- tro. Per questo mi percepiscono come qualcuno che può capirli e aiutarli a capirsi con gli altri». È quasi ora di cena e i ragazzi con- vergono al refettorio. Ogni volta che uno di loro passa davanti al- l’ufficio degli operatori, Monia, Ja- cob e Fabrizio lo chiamano, si informano di come ha risolto quel problema che aveva segnalato, scherzano, discutono. Di giorno i richiedenti asilo entrano ed escono dal Centro, vanno in paese, si muovono nella città. Ma, fra il corso di italiano, le attività organizzate al Cas e i tirocini, l’im- magine dei migranti che stanno a bighellonare e delinquere qui non trova conferma. «Con venti per- sone lo puoi fare», concordano gli operatori, «puoi seguirli uno per uno e avere un confronto e un dialogo anche con i cittadini del quartiere, o del paese». L’accoglienza in appartamento Se a misura d’uomo è un luogo che accoglie venti persone, altret- tanto se non di più lo sono realtà ancora più piccole e più domesti- che. Nell’appartamento di Porta Palazzo, Torino centro, dove vi- vono da più di un anno sette gio- vani rifugiati afghani, il clima è quello di una casa di studenti la- voratori. In cucina Mustafa, l’inge- gnere civile del gruppo, dà il tocco finale al kabuli palaus , piatto af- ghano a base di riso, carne, uvetta e cumino, mentre Sardar, il più os- servante dei sette - barba folta, pantaloni e lunga camicia bianchi, calotta da preghiera sul capo - stende sul pavimento del salone i teli su cui posare stoviglie e pie- tanze. Maruf, Moinkhan e Hawal- dar intanto guidano gli ospiti nel giro della casa: un salone, un ba- gno, tre stanze da letto, e spie- gano che si cenerà senza uno di loro perché lavora al negozio di kebab e, durante il Ramadan, è subito dopo il tramonto che i clienti arrivano numerosi. I ragazzi, in attesa del responso alla loro richiesta di asilo, stanno studiando l’italiano. Alcuni hanno già iniziato i tirocini come aiuto- cuoco, addetto agli scaffali in un supermercato, incaricato della manutenzione in un centro spor- tivo. Mustafa è contento del suo tirocinio da operaio edile e ha tro- vato nel capo cantiere - anche lui straniero ma a Torino da tanti anni - un punto di riferimento. Certo, spera che questa sia una soluzione temporanea e che, una volta ottenuto il permesso di sog- giorno, gli sia possibile lavorare in ruoli diversi. Ma un buon inge- gnere deve conoscere il cantiere, dice, perciò per ora va bene così. Antonello è uno degli operatori che segue i sette giovani. Lavora per la cooperativa Terremondo , nata più di dieci anni fa da alcuni educatori attivi all’ Asai , associa- zione fondata nel 1995 e fra i pio- nieri del lavoro con i migranti a Torino. Scherza con i ragazzi, guarda con loro la partita di calcio in Tv, si informa di com’è andata la giornata. «Allora, sei andato a scuola o ancora non ti senti spitalità presso la struttura che li aveva accolti. «La parte frustrante», riprende Monia, «è che a volte i ragazzi si fidano di più delle notizie sentite attraverso il tam tam fra migranti - che rischiano di essere parziali se non false - che di quello che di- ciamo noi. C’è voluta un po’ di pazienza per “smontare” le infor- mazioni sbagliate e superare la diffidenza di alcuni nei nostri con- fronti». Diffidenza che non di rado nasce ascoltando alla televi- sione le notizie relative al cosid- detto «business dell’accoglienza» e generalizzandole. «Magari un amico, un connazionale dice loro: “Altro che aiuto, questi dei centri d’accoglienza ci fanno i soldi su di te!”, e i ragazzi diventano guar- dinghi, ostili. Allora bisogna se- dersi, parlare, smentire con dati reali quelli distorti, ricostruire un rapporto di fiducia». È in queste situazioni che si rivela cruciale il supporto dei mediatori interculturali al lavoro con Monia e Fabrizio: Jacob e Mor sono en- trambi di origine africana, della Guinea Conakry uno e del Senegal l’altro. «Io sono arrivato qui che ero un bambino», dice Jacob, ora poco meno che trentenne, «la Guinea la conosco poco, ma una parte della mia famiglia, che sento regolarmente, vive lì. Conosco quindi la realtà e le difficoltà di un • Migranti | Accoglienza • MC RUBRICHE
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