Missioni Consolata - Ottobre 2016

48 MC OTTOBRE 2016 Le ingerenze di Arabia Saudita e Qatar Tra le questioni che ancora non hanno trovato una soluzione c’è, sicuramente, la mancanza di un’in- tesa con lo stato italiano e la questione della costru- zione dei luoghi di culto. L’Islam ad oggi, non può contare, infatti, su alcun tipo di intesa con lo stato italiano 1 , al contrario di altre religioni minoritarie come ebraismo o buddi- smo. La causa principale di tale situazione risiede nella mancanza di una leadership unitaria, ricono- sciuta e realmente rappresentativa delle diverse organizzazioni e orientamenti. Questa difficoltà è inoltre aggravata dalla presenza di molteplici gruppi nazionali di immigrati musulmani sul terri- torio italiano e dagli interessi (ingerenze) e dai con- seguenti finanziamenti dei paesi di origine o dei paesi del Golfo (Arabia Saudita e Qatar in primis) a determinate organizzazioni. L’intervento dei paesi del Golfo, in particolare, ha spesso sostenuto un Is- lammeno spirituale e più politico, promotore di battaglie politico-religiose talvolta molto distanti dal vissuto e dalle esperienze dei musulmani in Ita- lia. La questione dei rapporti con i paesi di origine e con i paesi del Golfo deve trovare una risposta ur- gente, anche rispetto a punti come la costruzione di nuove moschee e il riconoscimento o la formazione degli imam in Italia. La questione degli imam e il piano «Moschee trasparenti» Per quanto riguarda gli imam e la loro formazione, se è vero che molti processi di radicalizzazione sono avvenuti online o in carcere e non in moschea, e a causa dell’incontro con determinati imam e pre- dicatori, le moschee possono comunque giocare un ruolo fondamentale nella formazione e nel contra- sto alla radicalizzazione. La mancanza di un’intesa con lo stato pone, però, il rischio che, in assenza di controlli, autoproclamati imam possano improvvi- sare moschee/centri islamici e fare propaganda per un Islam radicale. Nell’ambito del progetto denomi- nato «Moschee trasparenti», lo scorso 11 luglio il ministro dell’Interno Alfano ha chiamato a raccolta gli esponenti di varie anime della comunità musul- mana italiana. L’obiettivo era di discutere il rap- porto «Ruolo pubblico, riconoscimento e forma- zione degli imam» 2 . Il rapporto, datato 1 aprile 2016 e redatto da 12 esperti guidati dal professor Paolo Naso (Università La Sapienza), insiste sulla neces- sità di avere imam formati e certificati per guidare i fedeli verso l’integrazione. La formazione non en- trerà nel merito delle questioni religiose, ma sarà un percorso civico di riconoscimento delle regole dell’ordinamento italiano 3 . Nel documento si legge che l’obiettivo è quello di «costituire un nucleo pri- mario di interlocutori delle istituzioni che, per com- petenza e autorevolezza riconosciute da parte delle loro comunità, conoscenza della realtà italiana ed esperienza nella partecipazione alla vita pubblica del territorio in cui operano, possano svolgere co- struttivamente il ruolo di «mediatori» nelle rela- zioni tra lo stato e le varie associazioni». Gli imam che sottoscriveranno lo statuto potranno ottenere maggiore libertà di accesso a «luoghi protetti quali ospedali, cimiteri, centri di identificazione e acco- glienza dei migranti, «case del silenzio» e, natural- mente, le carceri, luoghi, come già detto, dove più forte è il pericolo della radicalizzazione violenta. Un altro punto della discussione, condiviso tra i parte- cipanti all’incontro, ma criticato aspramente sui so- cial network , è stato l’uso della lingua italiana nei sermoni. Le accuse, rivolte, contro il ministro e la Consulta ponevano l’attenzione sull’idea che i mu- sulmani siano «sorvegliati sociali» e non conside- rati al pari dei fedeli di altre religioni. Da ultimo, contro la radicalizzazione, è fondamentale che mo- schee e imam siano in contatto e collaborino a li- vello locale sia con la polizia e i servizi di sicurezza per condividere informazioni e contrastare esiti violenti di processi di radicalizzazione, sia con le fa- miglie, le scuole e le altre agenzie formative pre- senti sul territorio per prevenirla. L’elenco delle «giustificazioni» e i rischi Il rischio di giustificare l’Isis (o altri movimenti vio- lenti) con «le guerre fatte in Medio Oriente dagli occidentali» o di identificarlo come creazione del «complotto americano-sionista» e di giustificare i foreign fighters con la discriminazione e il disagio economico e sociale di cui alcuni immigrati sono vittime può generare gravissime conseguenze. Per quanto riguarda i foreign (o domestic ) fighters , in- fatti, non sempre i soggetti radicalizzati sono scar- samente integrati (ancora meno il discorso vale per i convertiti). Se è vero che le scelte legislative e po- litiche dell’Italia possono determinare dinamiche di rifiuto, di isolamento sociale, di sentimenti contrari al senso di appartenenza civile e comunitaria, so- prattutto di quei (molti) musulmani di origine stra- niera. La radicalizzazione (e tutti gli attentatori de- gli ultimi mesi lo confermano) ha molteplici cause e può innestarsi su debolezze, talvolta anche perso- Qui sotto: manifestazione contro il terrorismo, a Modena, 1 dicembre 2015.

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