Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2016

paese riceve l’aiuto di cui ha biso- gno e nel contempo si impegna a dare il proprio contributo per ri- solvere i problemi globali. A mag- gior ricchezza maggior responsa- bilità e minor assistenza, in- somma, non una rigida e binaria divisione fra stati «aiutanti» e «aiutati» a seconda che si trovino di qua o di là da una soglia di red- dito. Sana ironia In attesa che si superi davvero la dicotomia e si conii eventual- mente una nuova espressione, qualcuno sottolinea - con ironia - la necessità di un complessivo ri- pensmento del linguaggio dello sviluppo. L’organizzazione no-pro- fit australiana WhyDev , ad esem- pio, indica «nove frasi dello svi- luppo che odiamo (e i suggeri- menti per un nuovo lessico)» [ 1 ]. Il capacity building ? «Spesso è un eufemismo per dire che si stipano trenta persone in una stanza per un po’ di giorni e si cerca di ucci- derle a forza di powerpoint, cartel- loni e lavori di gruppo». L’espres- sione «in via di sviluppo»? «È sem- plicistico. Significa mettere i paesi del mondo in una scala da meno a più sviluppati, e lo scopo ultimo Che cosa cambia in concreto? A dare retta a Charles Kenny, ricer- catore presso il Centre for Global Development di Washington , alla variazione lessicale non si accom- pagna per ora un equivalente cambiamento della sostanza. Quello della Banca, avverte, è un piccolo passo e per di più trabal- lante. • Innanzitutto, la suddivisione fra sviluppati e in via di sviluppo è an- cora presente, eccome, nella ver- sione on line - che sarà probabil- mente la più consultata - del rap- porto citato invece come spartiac- que con il vecchio linguaggio. • Inoltre, aggiunge Kenny, la Banca continua nei fatti a decidere a chi concedere quali prestiti, divi- dendo i paesi del mondo in gruppi sulla base del reddito, li chiami o meno «in via di sviluppo». Ed è esattamente questo il pro- blema: servirebbe, piuttosto, una scala progressiva per cui ogni sarebbe quello di essere il più vi- cino possibile al nostro estremo della scala e il più lontano possi- bile dall’altro. E fidatevi, essere più vicini al nostro estremo significa somigliare ai Kardashian [famiglia statunitense di origini armene composta da imprenditori, attrici, modelle costantemente sulle rivi- ste scandalistiche per i loro eccessi e lussi]. Nessuno può voler que- sto». Il Development Research Institute dell’Università di New York è an- cora più sarcastico nel suo diziona- rio dell’aiuto ( AidSpeak Dictionary ) [ 2 ]. La vera definizione di «sensibi- lizzare»? «Dire alle persone quello che devono fare». Gli «Obiettivi delle Nazioni Unite»? «Inventarsi soluzioni per problemi che non ca- piamo, pagando con soldi che non abbiamo». E che cosa intende dav- vero un professionista dello svi- luppo quando dice di essere un esperto? «Beh, che ho letto un li- bro sul tema durante il volo». Chiara Giovetti [ 1 ] Weh Yeoh, Brendan Rigby and Allison Smith, 9 development phrases we hate (and suggestions for a new lexicon) , in whydev.org , 13/09/2012. [ 2 ] The AidSpeak Dictionary , in wp.nyu.edu , 19/09/2011. Cooperando… 70 MC AGOSTO-SETTEMBRE 2016 # Periferia di Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo, un paese ricchissimo di risorse naturali, bellamente depredato dall’oligarchia locale e dall’avidità multinazionale. © Eloisa D’Orsi

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