Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2016

gate alle teorie della dipendenza che parlavano di centro ricco e periferia sottosviluppata e attri- buivano al primo un ruolo di sfrut- tamento della seconda. Di questo bouquet di espressioni, «in via di sviluppo» è stata la più longeva anche perché metteva d’accordo più persone o, se non altro, ne scontentava meno. Il suo richiamare il movimento («in via di») risultava incoraggiante per tutti, sviluppandi e loro tutori, e teneva a bada i critici perché era comunque meglio di «sotto-svi- luppato»; infine dettaglio fonda- mentale piaceva ai media, sem- pre avidi di termini agili (in inglese «in via di sviluppo» diventa deve- loping : un solo, pratico aggettivo). Sviluppo in crisi Ma poi, e molto prima che la Banca Mondiale decidesse il cam- bio di lessico, ad andare in crisi è stato lo sviluppo stesso, attaccato da ogni lato da dati e fenomeni che lo negano, o almeno ne stra- volgono la fisionomia per come l’abbiamo conosciuta finora. L’aiuto pubblico allo sviluppo è pari a un terzo delle rimesse dei migranti; il Brasile, l’India, la Cina, il Sudafrica da paesi assistiti sono diventati potenze regionali; a detta di analisti come la zambiana Dambisa Moyo, i mille miliardi di dollari in aiuti riversati sulla sola Africa in cinquant’anni hanno in larga parte mancato l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita de- gli africani e sono spesso finiti di- vorati da corruzione, spese di ge- stione e burocrazia kafkiana dei governi nazionali e delle istitu- zioni internazionali. E mentre, almeno in alcuni am- bienti, ci si stava chiedendo se l’Occidente era poi davvero un modello di sviluppo, è arrivata la crisi finanziaria del 2008 a mo- strare che il primo mondo, quello sviluppato, è molto più fragile e vulnerabile di quanto esso stesso pensasse di essere e ha al proprio interno sacche di povertà, emargi- nazione e degrado identiche a quelle dei paesi in via di sviluppo. È in questo contesto che va collo- cata la decisione della Banca Mondiale di rivedere il lessico. I primi a riprendere la notizia sono stati paesi come l’India e il Mes- sico, che la nuova classificazione «promuove» a paesi non più in via di sviluppo per il semplice fatto di non definire più nessuno stato come tale. sto, di paesi come l’India, il Brasile e il Sudafrica e del loro rivendi- care una identità peculiare ri- spetto all’Occidente. Nord e Sud del mondo Altre definizioni, poi, si sono alter- nate negli anni: la dizione «Nord e Sud del mondo», a guerra fredda finita, riprendeva la linea Brandt dal nome del cancelliere tedesco Willy Brandt, presidente della commissione che nel 1980 pro- dusse un noto rapporto sullo svi- luppo internazionale e inten- deva fotografare la nuova linea di confine. Questa non correva più lungo la cortina di ferro sepa- rando l’occidente dal blocco so- vietico dell’Urss e dell’Europa orientale, bensì lungo la linea che scindeva i paesi industrializzati del Nord America, dell’Europa occi- dentale, dell’ex Unione Sovietica, del Giappone e di altri paesi del- l’Estremo Oriente si stavano nel frattempo affermando anche le cosiddette Tigri Asiatiche dall’A- merica Latina, dall’Africa e dal Medio Oriente. Altre suddivisioni, frequentate per la verità più dagli accademici e filtrate solo di rado fino alle pagine dei giornali e nei dibattiti pubblici, erano quelle le- © Allan Gichigi/ R N • Terzo Mondo | Sviluppo | Nord e Sud • MC RUBRICHE

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