Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2016
SUd SUdaN 56 MC AGOSTO-SETTEMBRE 2016 N ELL ’ ARCHIVIO MC Sul Sud Sudan nell’archivio della rivista troverete: Marco Bello, Na- scita di uno stato , marzo 2011. # A fianco : donne e bambini sfollati nello stato del Jonglei. tra Dinka e Nuer. Nei campi poi scoppiano scene di guerriglia tra le etnie e le strutture sono di- strutte e date alle fiamme». Chi comanda il Sud Sudan I Dinka, pur non essendo la mag- gioranza assoluta, sono circa il 35% dei Sud sudanesi, di fatto controllano tutti i posti chiave, e non solo dell’amministrazione. «Noi lavoriamo molto con alcuni ministeri - continua il cooperante - e possiamo constatare che sono quasi tutti Dinka». Conferma Mo- schetti: «Le zone petrolifere sono Nuer, ma quelli che ne approfit- tano sono Dinka. Anche alcune al- tre etnie, ma loro hanno man- giato miliardi di dollari, senza svi- luppare il paese». «Osserviamo molto nepotismo, clanismo. Gli altri gruppi accu- sano oggi i Dinka di mettere le proprie persone a tutti i livelli. È anche vero che sono la maggio- ranza. Poi c’è un’alta corruzione, dovuta ai soldi derivati dal petro- lio. Fino al 2011, tutti i proventi dell’estrazione andavano a Karthum, anche se nel Sud c’era un governo semi autonomo, mentre i soldi per far funzionare le cose arrivavano dal Nord. Gli oleodotti vanno tutti dal Sud al Nord, a Port Sudan, dove il petro- lio viene imbarcato. E il Sud Su- dan deve pagare un dazio fisso a barile, indipendente dal prezzo del greggio sul mercato. Sia i ge- nerali del Spla, sia i pezzi grossi del governo hanno ingrossato i propri conti in banca in giro per il mondo, non certamente a Juba». Nel 2018 sono previste le pros- sime elezioni presidenziali. Ma «non si possono vivere due anni con una tensione così» ci dice To- gnetti. «A livello politico è un rap- porto di forza tra due fronti: oggi non si vede una volontà di dialogo tra i due, altrimenti ci sarebbero delle politiche per migliorare le condizioni di questa nazione. Il dialogo deve essere frutto di buona politica che oggi è assente. È una fase molto incerta. Dove si va a finire? Di sicuro la città è mili- tarizzata in modo massiccio, se si accende un cerino nel posto sba- gliato, succede un pandemonio». Ricorda Daniele Moschetti: «Di- venta sempre più difficile resi- stere per la gente. Si mangia una volta al giorno, i salari sono rima- sti gli stessi, ma è aumentato tutto, cibo compreso. In un paese che è uno dei più poveri al mondo. Dopo la Siria, il Sud Su- dan è il peggiore». Marco Bello problemi restano irrisolti. «Al mo- mento non cambia niente. Non vediamo alcun miglioramento ge- nerale delle condizioni del Sud Su- dan dopo l’insediamento del nuovo governo, avvenuto pochi giorni dopo il ritorno di Machar a Juba» continua Tognetti. «L’eco- nomia invece di migliorare peg- giora, il dollaro è scambiato contro il pound Sud sudanese 1 a 40. Nel 2013 era 1 a 4. Permangono i campi profughi, anche qui a Juba, e soprattutto negli stati nei quali la guerra è stata più cruenta, ovvero Unity e Upper Nile. Oltre lo smantellamento dei campi, occorrerebbe poi far ripar- tire i pozzi petroliferi, fermi a causa della guerra, per rilanciare l’economia e far entrare valuta pregiata, in modo che il cambio e l’inflazione comincino a stabiliz- zarsi o a diminuire. Ma non sta avvenendo niente e non c’è un programma». «Le Nazioni Unite vorrebbero chiudere tutti i campi di sfollati entro dicembre» ci dice Angela Osti, che lavora proprio con le vit- time del conflitto «ma i ritorni de- vono essere spontanei e la gente deve tornare nelle zone di origine in sicurezza e in condizioni tali per cui non si crei un’altra crisi umanitaria. Tra gli altri c’è il campo di Bentiu, il più grande con circa 105.000 persone, in una zona di pozzi petroliferi, contesa © Angela Osti Mentre stiamo chiudendo questo numero giunge noti- zia che a Juba dall’8 luglio sono in corso aspri combat- timenti con armi pesanti e centinaia di morti tra le forze del presidente Salva Kiir e quelle del vice Riek Machar. ULTIMO MINUTO
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