Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2016

DOSSIER MC LINGUA MADRE AGOSTO-SETTEMBRE 2016 MC 41 bianco a fiori rosa, si lavava le mani, controllava con le dita che l’acqua riscaldata sul fuoco non fosse troppo calda e iniziava ad impastare. Con le mani creava un «vulcano» di farina, sotto nascon- deva il sale e in mezzo iniziava a versare il lievito sciolto nell’acqua calda insieme a qualche cuc- chiaino di miele. Lentamente l’impasto iniziava a prendere consistenza. All’inizio rimaneva incollato alle sue mani, e lei, con sapienti movimenti e l’aiuto di altra farina, lo faceva ritornare nel catino, continuando a mesco- lare, stringere e lavorare con forza tutta quella massa bianca e morbida. Il profumo iniziava a ri- empire la casa, profumo acido di pasta lievitata, legna che brucia e calore. Mi riaddormentavo poi sfinita appena nonna rimetteva il vecchio catino vicino alla stufa e sedeva su una sedia per lavo- rare a maglia per qualche ora. Al nostro risveglio era tutto pronto: un grande asse di legno ricoperto di farina, piccoli pezzi di impasto che ci aspettavano per prendere le più bizzarre e svariate forme e le teglie unte e infari- nate per infornare. Face- vamo colazione in un soffio, latte, pane e gno che componevano le pareti del vecchio gra- naio e guardavamo dentro. La nonna, leggermente chinata sul catino, setac- ciava la farina con movimenti regolari e ondeg- gianti. Gli ultimi spruzzi di luce che il sole infilava timida- mente tra le saette e la polvere di farina mossa dai suoi movimenti, la avvolgevano in una nuvola do- rata e cangiante. Troppo piccola mia cugina per capire che non era magia. E con le labbra appun- tite sussurrava incantata: «Nonna è diventata una fata...». Guardavo i suoi occhi grandi e azzurri: erano pieni di incanto e curiosità. Sorridevo e la ripor- tavo di corsa in casa per non farci sorprendere. Aspettavamo la nonna sedute tranquille sul di- vano, solo le gambe dondolavano impazienti e i cuori battevano forte per l’eccitazione. Erano le nostre impronte nella neve, gli sguardi incuriositi e le guance arrossate dal freddo a tradirci. N onna sorrideva nascondendo la bocca die- tro al suo scialle, appoggiava il catino con la farina su una sedia vicino alla stufa e lo av- volgeva con una tovaglia pulita. Era per scaldarla: la farina prima di diventare pane doveva essere coccolata, areata e riscaldata vicino alla stufa per tutta la notte. Poi andavamo a dormire: nonna e nonno nella pic- cola stanza che di giorno serviva da salotto e cu- cina, noi bambine nella cameretta adiacente, se- parati solo da una porta con piccole finestre inta- gliate, che restava quasi sempre aperta. All’alba, nonna si alzava, e in silenzio accendeva una piccola lampada a petrolio. Rinfrescava il fuoco buttando qualche pezzo di legno sui carboni ancora accesi e toglieva la tovaglia che aveva rico- perto il catino. La luce gialla e la polvere di farina ricreavano un’altra nuvola che avvolgeva la donna minuta e lievemente curva sulla sua magia... Altri colori, altri profumi... Stesso sguardo dolce e sor- ridente della nonna. La luce tremolante e i rumori sordi mi sveglia- vano e cambiavo posizione nel letto strisciando come un gatto in agguato sotto le coperte, in modo da trovare l’angolazione giusta per non perdermi nessun suo movimento. Cer- cavo invano di svegliare la piccola addor- mentata di fianco a me. All’inizio mi se- guiva ma non appena riuscivamo a tro- vare la posizione con la visione migliore e la sua testa ritoccava il letto, ritornava nel mondo dei sogni. Io continuavo a se- guire i movimenti lenti che la nonna con il suo corpo snello ma stanco compiva come dei piccoli rituali: legava intorno alla vita il grembiule In alto a sinistra : focacce intrecciate. | Qui a de- stra : anziana rumena negli abiti tradizionali. © Claudia Caramanti

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