Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2016

38 MC AGOSTO-SETTEMBRE 2016 C osì me ne sto seduta lì, su una brutta sedia di plastica, a osservare la pioggia che batte violentemente sul vetro. Il cielo è cupo e le grosse nuvole corrono a Est, inseguite dal vento. Sento che la mia maschera di coraggio si sta di nuovo sgretolando, il brutto tempo mi si rispec- chia nell’anima. Come se cercassi l’ancora di sal- vataggio, apro la borsa e tiro fuori il libricino di cucina. Vediamo. Polpette di agnello. Torta di radic- chio. Pubblicità. Zuppa di lenticchie , bene. Crostata di zucca (ecco, siamo sotto Halloween). Pubblicità . Mi tolgo gli occhiali, mi riposo un po’. Per la prima volta guardo in faccia le persone che dividono la sala d’attesa. Non la condividono, ma la dividono, perché ognuna ha creato intorno a sé un piccolo spazio personale impenetrabile per gli altri. E forse nessuno vuole violentare lo spazio di qual- cun altro, ognuno chiuso nei propri problemi e pensieri, dolori e preoccupazioni. Non ci sono bambini, gli unici ammessi a penetrare le difese degli adulti. C’è una signora anziana, elegante nel suo cappotto un po’ fuori moda. Ogni tanto mi rivolge un’oc- chiata curiosa. Non m’infastidisce, non è per niente invadente. Ricomincio a leggere. Anatra con le mele. Ravioli di pesce. Pubblicità. L’infermiera chiama l’an- ziana signora. Torta di patate. Cavolfiore gratinato. Pubblicità. La signora esce, si rimette in una pa- ziente attesa. La osservo sopra gli occhiali, mi sem- bra che stia recitando una preghiera. Distolgo edu- catamente lo sguardo. «Io sono una donna forte, forte!» mi ripeto come un mantra e continuo a leg- gere. Pasta all’uovo. E poi, una breve scritta, un’in- troduzione: «Il profumo di lasagne, di cannelloni, di pasta al forno che si diffonde in casa… A chi questi piatti non farebbero tornare in mente la domenica, la mamma, l’infanzia?». Rimango pietrificata. Del tutto irragionevolmente ho voglia di gridare a squarciagola «A me! A me non fanno ricordare proprio niente della mia in- fanzia, le lasagne e la pasta al forno!». All’improv- viso mi sento fuori luogo, fuori paese, fuori pia- neta. Mi sembra di essere in un posto del tutto sbagliato, perché i miei ricordi sono sbagliati. La domenica di casa mia sapeva di brodo di carne, pollo fritto, purea di patate e pesche sciroppate. Come faccio a vivere qui, se la parola «lasagne» non sveglia in me nessun’emozione? P ensavo di essere ormai immunizzata. Inte- grata. Una brava moglie e mamma di figli italiani. Mimetizzata, una straniera che non nasconde di esserlo ma che non le dispiace se la scambiano per un’italiana; in realtà l’immagine di mimetizzarsi è del tutto ridicola, in un paesino di montagna che conta sì e no cinquecento abitanti e dove tutti sanno perfino che numero di scarpe porti. Certo, ho insegnato ai miei bambini la mia lingua madre, ma la nostra lingua di casa è l’ita- liano. Preparo le calze per la Befana e le bandiere per la Festa della Repubblica. Cucino le lasagne emiliane, il risotto alla milanese, lo stracotto e la cassata. E qualche volta delizio la famiglia con un piatto tipico delle mie zone, un gulasch di cinghiale o un’oca al forno. Pensavo di avere dietro le spalle la nostalgia di sapori, di profumi. Un errore. Una risatina isterica mi sale sulle labbra. La mia maschera immaginaria si rompe, sento il rumore assordante quando cade per terra, e comincio a piangere in silenzio. Piango tutte le mie preoccu- pazioni, paure. E anche la mia folle e improvvisa voglia di tornare bambina e trovare a casa la mamma che prepara il pranzo domenicale. Dopo qualche istante l’anziana signora si alza, si avvicina. «Cara, si sente bene?», mi dice con quella sua voce tremula, dolce. Scuoto la testa. Potrebbe essere un sì, o un no. «Suvvia, cara, non deve piangere così. Si risolve tutto, vedrà. C’e l’ha un fazzoletto?». Certo che ce l’ho un fazzoletto, ne ho un pacchetto intero, ne sono sicura, ma non riesco a trovarlo. La signora mi dà il suo, di tessuto fine. Profuma di lavanda. Dopo un secondo di imbarazzo ci soffio il naso. Non ho mai usato un fazzoletto di stoffa. Passano cinque minuti, dieci. Ho smesso di pian- gere. Nel frattempo, senza rendermene conto, la signora mi si è seduta accanto. Non parliamo, ma tra noi si è già creato un legame particolare. La signora mi chiede quando ho il prossimo Pagina precedente : un piatto di borsh , zuppa di barbabietole. | Sotto : panorama della catena montuosa degli High Tatras. | Qui a destra : tipico piatto di gulash (cinghiale/maiale e verdure) e ve- duta del lago Štrbské nelle montagne del Tatras. © Roman Herda / CC-BY-SA-4 0

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