Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2016
AGOSTO-SETTEMBRE 2016 MC 15 armeni (in molti casi, figli e nipoti dei sopravvissuti al genocidio ar- meno del 1915), fuggiti dalla guerra in Siria. Anno 1991: lo scoppio La questione del Nagorno-Kara- bakh è nata col tramonto del si- stema sovietico che - pur con tutti i suoi limiti e contraddizioni - era riuscito a tenere a bada anti- che tensioni più volte riesplose fra cristiani armeni e musulmani azeri, due popolazioni che per lungo tempo avevano condiviso nel bene e nel male i frutti di que- sta terra. «Nel nero velluto della notte sovietica», come la definiva il poeta russo Osip Mandelstam, le questioni di nazionalità - come ogni altro tema politico - erano semplicemente bandite, o tuttal- più materia da discutere di nasco- sto, fra la quattro mura di casa. Con la Perestrojka di Gorbaciov, quel silenzio ha avuto finalmente fine. Senonché, come una pen- tola a pressione tenuta coperta per troppo tempo, lo scoppio è arrivato ancora più forte e frago- roso, provocando una improvvisa con la dissoluzione dell’Urss nel 1991 - questa era una terra plu- rale da un punto di vista etnico e religioso. Il Nagorno-Karabakh porta con sé storie di fughe e ab- bandoni, di rancore e nostalgia, di molti che questa terra amara e dolce - dove ci sarebbe posto per tutti - l’hanno dovuta lasciare per sempre. Ci riferiamo alle centi- naia di migliaia di azeri che, da un giorno all’altro - con l’esplosione del conflitto - hanno dovuto ab- bandonare le loro case e i loro beni a rischio della vita. Il Nagorno-Karabakh è oggi uno stato non riconosciuto da alcun paese al mondo, ed è tuttora uffi- cialmente parte della repubblica dell’Azerbaigian. Ma è anche un crogiuolo di storie che si incro- ciano, storie di chi, vent’anni fa, è stato costretto a partire senza po- ter più ritornare e di chi ci è arri- vato partendo da lontano. Perché in questo lembo di terra si tro- vano anche migliaia di profughi che sono dovuti fuggire dall’Azer- baigian in quei drammatici anni, insieme - più di recente - ad al- cune decine di famiglie di cristiani e irrefrenabile violenza. Il Na- gorno-Karabakh è un piccolo ter- ritorio, grande poco più della Ba- silicata o dell’Abruzzo, situato nel Caucaso del Sud, una regione stretta fra tre giganti: la Turchia, la Russia e l’Iran. Oggi vi si tro- vano poco meno di 150.000 abi- tanti. Il genio criminale di Stalin decise, per ragioni di opportunità politica, di assegnarlo negli anni venti alla Repubblica socialista sovietica dell’Azerbaigian, nono- stante vi si trovasse già all’epoca una larga preponderanza di ar- meni. Una maggioranza non omo- genea, allora, in una terra - il Cau- caso - da sempre declinata al plu- rale. Cosa che si evince anche dal nome di questo stato non ricono- sciuto: Nagorno-Karabakh, tre lin- gue che si fondono in un solo to- ponimo. Il «giardino nero di mon- tagna», così potremmo tradurlo in italiano, è un’espressione che coniuga russo («nagorno», che vale per montagnoso), turco («kara», ovvero di colore nero) e persiano («bakh» significa giar- dino). I suoi abitanti, invece, pre- feriscono chiamarlo con il topo- • Guerre | Minoranze | Religioni • MC ARTICOLI
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