Missioni Consolata - Luglio 2016
• Lavoro minorile | Pakistan | Nuove schiavitù • MC RUBRICHE Il fatto di essere accolto da una struttura che, invece di sfruttarti, ti proteggeva, ti mise nelle condizioni di diventare un testimone dei soprusi che venivano compiuti verso voi bambini. Dopo che incominciai a raccontare e a esporre al pubblico le terribili condizioni di vita a cui erano sottoposti i miei coetanei, il mio racconto venne ripreso e pubblicato dai giornali locali, da lì, per una serie di fortuite coincidenze, la storia rimbalzò sui mass media di tutto il mondo. Così diventasti portavoce e simbolo del dramma dei bambini lavoratori in Pakistan, come in altri paesi in tutto il mondo. Nel 1993, quando avevo dieci anni, invitato da diverse organizzazioni mondiali, cominciai a viaggiare e a parteci- pare a conferenze internazionali, sensibilizzando l’opi- nione pubblica sui diritti che nel mio paese erano negati ai minori e contribuendo al dibattito sulla schiavitù mon- diale e sui diritti internazionali dell’infanzia. Con le tue denunce e nella tua veste di «sindacalista bambino», non temevi per la tua vita? Sulle prime avevo paura, ma con il tempo mi passò. A un certo punto mi accorsi di non avere più paura dei pa- droni, anzi, prendevo atto che erano i padroni che ave- vano paura di me e di noi bambini lavoratori e della no- stra ribellione. Maturai anche l’idea che da grande sarei andato all’università per conseguire la laurea da avvo- cato per difendere coloro che erano oppressi e che vive- vano situazioni intollerabili. È vero che la tua fede religiosa ti fu molto di aiuto e ti sostenne nei momenti più duri e difficili? Proveniente da una famiglia cristiana in un paese a stra- grande maggioranza islamica, pregavo il Signore Gesù che mi desse la forza di rendere testimonianza della fede che avevo in lui e questo lo affermai in diverse occasioni nei miei viaggi per gli incontri internazionali. Se non vado errato hai anche ricevuto dei riconosci- menti internazionali? Nel dicembre del 1994 ottenni un premio di 15.000 dol- lari, con il quale decisi di finanziare una scuola in Paki- stan. Ricevetti anche una borsa di studio per studiare all’estero, ma la rifiutai perché avevo deciso di rimanere in Pakistan, per portare avanti la mia campagna in favore dei più piccoli. In cosa consisteva il tuo lavoro? Io e gli altri bambini della fabbrica facevamo tappeti. La- voravamo su dei telai tradizionali che richiedevano molta destrezza e mani piccole. Le nostre piccole dita si infila- vano agevolmente nell’ordito e nella trama del tessuto: potevamo così realizzare disegni molto raffinati ed ela- borati. Bisognava però lavorare giorno e notte, con turni massacranti. Ci tenevano incatenati l’uno all’altro per paura che fuggissimo. Ma io, almeno all’inizio, non avevo alcuna intenzione di fuggire perché dovevo aiutare la mia famiglia. Il padrone ci teneva sotto controllo ogni istante e se sbagliavamo a fare i nodi nel disegno di un tappeto ci puniva severamente. A volte ci costringeva a stare senza mangiare e bere dentro una scatola di lamiera sotto il sole. Capitò anche a te di subire quel tipo di punizione? Sono finito due volte lì dentro, una volta da solo e un’al- tra insieme a un ragazzo malato ai polmoni. Dopo qual- che giorno è morto senza che nessuno avesse chiamato un medico per curarlo. Non cercaste mai di scappare? Una volta fuggii e mi rivolsi alla polizia, ma venni ripor- tato alla manifattura e bastonato per punizione. Un’altra volta uscii dalla fabbrica insieme ad altri bambini di na- scosto, e per caso assistemmo alla celebrazione della «Giornata della Libertà» organizzata dal Fronte di Libera- zione dal Lavoro Schiavizzato ( Bounded Labour Liberation Front - Bllf). Per la prima volta sentii parlare dei diritti dei bambini e descrivere la nostra condizione di schiavitù. Quello fu un momento importante per te… In quell’occasione conobbi Eshan Ullah Khan, leader del Bllf, il sindacalista che sarebbe stato la mia guida verso una nuova fase della mia vita, dedicata alla difesa dei di- ritti dei bambini. Cosa successe dopo? Ritornato nella manifattura, mi rifiutai di riprendere il la- voro malgrado le percosse. Il padrone disse alla mia fami- glia che il debito contratto anziché diminuire era aumen- tato a diverse migliaia di rupie. Nel conto aveva inserito anche il cibo (sebbene scarso) che mi era stato dato, gli errori di lavorazione e altre menzogne. La mia famiglia fu costretta dalle minacce ad abbandonare il villaggio e io fui ospitato in un ostello dalla Bllf. Lì potei cominciare a studiare.
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