Missioni Consolata - Luglio 2016
46 MC LUGLIO 2016 © Sajjad Hussain / AFP Mentre le potenze mondiali si riunivano alla ricerca di un accordo che limitasse le emissioni di gas serra in uno sforzo globale a tutela dell’ambiente, la dele- gazione indiana - esprimendo opinione condivisa da molti paesi in via di sviluppo - dichiarava all’ Huffing- ton Post India : «Non abbiamo intenzione di scusarci per il nostro utilizzo di carbone. L’America e il mondo occidentale si sono sviluppati per gli ultimi 150 anni grazie all’energia a basso prezzo derivata dal carbone. E grazie a questa “energia low cost” si sono costruiti le loro autostrade, le loro ferrovie, le loro fabbriche, i loro laboratori e improvvisamente tutta la loro gente ha un lavoro, ha una casa, il loro Pil pro capite supera i 70mila dollari all’anno e la loro crescita è ferma a zero. E adesso hanno lo sto- maco di chiedere al resto del mondo “per favore, non crescete. Se crescete tutti alla velocità dell’India, cosa ne rimarrà di noi e dei nostri paesi?”». A sostegno della posizione indiana, piace citare un dato - vecchiotto in realtà (è del 2012), riportato dal Financial Times qualche giorno prima del Cop21 - relativo alle emissioni pro capite globali: l’India con- tribuiva a un «misero» 1,6 tonnellate di diossido di carbonio a persona, contro le 7,1 cinesi e le 16,4 statu- nitensi. Solo che in India ci vivono 1,2 miliardi di per- sone, e stiamo parlando di una stima al ribasso, proiettata a sfondare la soglia di 1,5 miliardi entro il 2020. E nulla lascia intendere che a un incremento demografico corrisponderà una diminuzione dell’in- quinamento. L’aria non conta nulla Con proiezioni di crescita del Pil stimate al 7 per cento - primo paese tra le economie emergenti, non- ostante l’aritmetica della stima sia fortemente dibat- tuta agli analisti – questa seconda metà degli anni Dieci per l’India non è proprio il momento adatto per porsi problemi «da primo mondo». Da un lato si promuovono quindi soluzioni altiso- nanti e sul lungo termine - dalla catastrofica campa- gna Swacch Bharat (India Pulita) alla proposta di un’«alleanza globale solare» per il potenziamento dell’energia solare dei paesi situati tra il tropico del Cancro e del Capricorno, che dovrebbe vedere il proprio quartier generale amministrativo proprio a New Delhi - ma dall’altro, inevitabilmente, si conti- nua a far finta di nulla, perseguendo l’obiettivo del progresso ad ogni costo. Anche al costo dell’aria che si respira. A riprova della dimensione nazionale del fenomeno, lo scorso 12 maggio la stampa indiana ha euforica- mente accolto un nuovo rapporto dell’Oms sull’in- quinamento dell’aria nelle città del mondo. Titolo: «New Delhi non è più la capitale dell’inquina- mento». Occhiello: «Zabol, in Iran, è la nuova città più inquinata della Terra. Giubilo delle amministra- zioni e rivendicazioni di bontà dell’esperimento “ odd even rule ” da parte del “sindaco” Kejriwal». Ma, come spesso succede, c’è il trucco. Il nuovo rapporto ha preso in esame altre 1.400 città da 103 paesi, portando la base del sondaggio a un to- tale di 3.000 centri urbani. New Delhi si attesta in tredicesima posizione. Ma il posizionamento nazio- nale nella classifica rimane allarmante: nelle prime venti città più inquinate al mondo (riferimento alla concentrazione di Pm 2,5 nell’aria), dieci si trovano in India, il paese più rappresentato assieme alla Cina (quattro città, e non c’è Pechino, in 56esima posi- zione). Matteo Miavaldi
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