Missioni Consolata - Giugno 2016

gliaia di piante di rosa in mezzo alle quali crescono le più consone palme e le solite acacie. La rosa è la materia prima dell’economia locale. Si potevano visitare le pic- cole aziende artigianali che la la- vorano, per produrre l’«acqua di rose»: bevanda, cosmetico e pro- fumo. Il nome di Dio Abbiamo ripreso il viaggio e, verso sera, saliti sull’altopiano desertico che domina la città di Boumalne, siamo arrivati all’albergo in cui pernottare. Mentre si faceva buio, dalla terrazza ornata di rose rosse, la vista spaziava sulle case ocra della città, immerse nel crepu- scolo dorato e, più in là, sulla val- lata verde cupo circondata da montagne sassose. Era magnifica. Il mattino ci siamo avviati a Ti- nerhir, che sorge in una grande oasi attraversata dal fiume Todra. Qui abbiamo conosciuto Rashid. Volevamo tentare l’acquisto di qualche prodotto artigianale. Così Hassan ci ha portati nel suo nego- zio. Ci ha accolti sorridente sulla porta d’ingresso, vestito dell’a- bito tradizionale berbero: una tu- nica blu, con una grande fascia bianca che scendeva dal tur- bante, anch’esso bianco, e si av- volgeva attorno al collo scen- dendo poi sulle spalle. Abbiamo ingaggiato con lui un’estenuante trattativa per un piccolo tappeto tuareg. Ci piaceva, oltre che per i colori, perché costruito con tre tecniche diverse di tessitura. La prova era dura e pareva non risol- versi finché Rashid, stranamente, ha cambiato discorso, chieden- doci da dove venisse il berretto che tenevamo in testa. Ci siamo convinti che avesse abbandonato l’idea di concludere l’affare, visto che non cedevamo sul prezzo. In- vece, sorprendendoci, ci ha detto che gli piaceva molto il berretto e che ci avrebbe venduto il tappeto accettando la nostra offerta se vi avessimo aggiunto anche quello. Si è messo a ridere. Abbiamo ac- cettato la proposta e siamo di- ventati amici. Ci siamo poi abban- donati a discorsi impegnativi. Ra- shid, oltre che un uomo allegro e gioviale, si è rivelato molto colto. Abbiamo parlato di fedi e di reli- gione, e ci ha dato una piccola e preziosa lezione. A un certo punto, infatti, alzando la mano destra, unendo l’indice e il pollice e tenendo diritte le altre tre dita, ci ha detto: «Vedi, in questo modo la mano indica il nome di Allah in arabo. Ma se la giro verso il basso, senza mutare la posi- zione delle dita, il nome di Dio di- venta scritto in ebraico. Non c’è troppa distanza tra noi». Siamo rimasti affascinati e contenti. Ra- shid ha ripetuto un’idea che in Marocco, e nella regione dei ber- beri, si trova ben radicata: la tol- leranza tra le religioni. Nella me- dina di Marrakech c’è ancora il quartiere ebraico, come anche in altre grandi città del paese. Si tro- vano pure chiese cristiane, so- prattutto al Nord e nei centri della costa. Hassan non perdeva occasione, durante il viaggio, di dirci che lo stato riconosce libertà di culto a tutti, che è «laico» e tollerante, che non c’è, tra la sua gente, il «fondamentalismo reli- gioso», come ci esprimiamo noi europei. Paolo Bertezzolo (fine prima parte) punteggiato di cespugli verdi e contornato, in lontananza, da al- ture. I centri abitati si confon- dono col paesaggio di cui ripe- tono i colori, ai quali si aggiunge il verde degli alberi, soprattutto acacie e ulivi, che vi crescono in- torno. Superata Ouarzazate, a Sud Est di Marrakech, ci siamo di- retti a Skoura lungo la valle del Dades che, dopo Kelaat Mgouna, immette nella sorprendente «valle delle rose». L’acqua del fiume permette di coltivare que- sto fiore che non eravamo prepa- rati a incontrare in pieno deserto. Lo annunciavano ghirlande di pe- tali, intrecciate a forma di cuore e appese agli alberi lungo la strada. Il paesaggio si faceva bellissimo, verde per la presenza delle mi- MAROCCO # Qui : l’autore del racconto di viaggio in- sieme al venditore Rashid. | Sotto : vista panoramica della valle delle rose dopo Kelaat Mgouna. Benh Lieu Song/Flickr.com © Paolo Bertezzolo

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