Missioni Consolata - Giugno 2016
di Gigi Anataloni EDITORIALE GIUGNO 2016 MC 3 Ai lettori CREARE PONTI A fine aprile sui giornali si è scritto del fatto che nelle nostre città la gente si ignora. Notava Al- berto Mattioli: «Come vicino di casa potreste avere chiunque: una delizia del genere umano che firma per le vostre raccomandate e vi offre i biscottini cucinati da lui quanto un terrori- sta dell’Isis che nei ritagli di tempo fabbrica una bomba atomica in cantina. Il problema è che difficilmente lo saprete. Pare infatti che una delle attività più praticate nei condomìni sia quella di evitare i condòmini. Secondo un’indagine on line [...] il 61% degli italiani vede con fastidio chi gli vive accanto. Anzi, si sforza proprio di non vederlo. Non potendo eliminarlo, cerca almeno di evitarlo. Sia- mo passati dal “condominio famiglia” pieno di poveri ma belli dei film Anni Cinquanta al “condominio asociale” di oggi, dove si conosce a malapena il nome di chi vive dall’altra parte della parete e in ogni caso non si ha alcuna voglia di approfondire la conoscenza» ( La Stampa , 26/04/2016). Nello stesso tempo, circolava già il messaggio di papa Francesco per la cinquantesima «giornata mondiale delle comunicazioni sociali» (8 maggio): «L’amore, per sua natura, è comunicazione, con- duce ad aprirsi e a non isolarsi. E se il nostro cuore e i nostri gesti sono animati dalla carità, dall’amo- re divino, la nostra comunicazione sarà portatrice della forza di Dio. Siamo chiamati a comunicare da figli di Dio con tutti, senza esclusione. [...] La comunicazione ha il po- tere di creare ponti, di favorire l’incontro e l’inclusione, arricchendo così la società. Com’è bello ve- dere persone impegnate a scegliere con cura parole e gesti per superare le incomprensioni, guarire la memoria ferita e costruire pace e armonia. Le parole possono gettare ponti tra le persone, le fami- glie, i gruppi sociali, i popoli. E questo sia nell’ambiente fisico sia in quello digitale. [...] La parola del cristiano, si propone di far crescere la comunione e, anche quando deve condannare con fermezza il male, cerca di non spezzare mai la relazione e la comunicazione». L ’ indagine commentata dai giornali, che dava i condòmini milanesi tra i più asociali (69%) se- guiti dai torinesi (68%), è specchio di una realtà preoccupante, soprattutto nelle città. È un modo di vita che peggiora in parallelo con la scristianizzazione della nostra società, la quale tende a ridurre tutti a essere individui (uomini centrati sul proprio io) e non favorisce l’essere persone (uomini in relazione). Ne soffre la famiglia, privata degli spazi, costretta in alloggi troppo pic- coli e in condomìni allergici ai bambini, e dei tempi di incontro, rubati da un sovraccarico di lavoro e da mille «indispensabili» impegni. Ne soffrono le relazioni tutte, meno «faccia a faccia» e sempre più affidate a supporti digitali. Ne soffre il senso di appartenenza a una comunità e a un luogo reale, con la conseguenza di vantare un sacco di diritti per sé senza assumersi i necessari doveri verso gli altri. Ne soffre anche l’ambiente, violentato da una cementificazione aggressiva, dall’abuso di pesticidi, dall’inquinamento e dall’abbandono. Diventa perfino difficile la vita nelle parrocchie, dove solo alcu- ni piccoli gruppi riescono a creare relazioni profonde, mentre molti cristiani, pur vivendo nello stesso palazzo e frequentando la stessa chiesa, non si conoscono e si ignorano, nonostante le abitudinarie strette di mano al segno della pace. Le parole di papa Francesco mostrano invece l’alternativa possibile, che già molti vivono, la vera rivo- luzione quotidiana operata da chi crede in Gesù di Nazareth: costruire ponti e abbattere le barriere, creare comunione e fiducia, aprire canali di comunicazione e spazi di incontro. È un’operazione di re- sistenza, è l’ostinarsi a vedere nell’altro un dono, un arricchimento, un fratello o una sorella. È crede- re a tutti i costi che non siamo fatti per l’indifferenza, per la guerra, per la paura, ma per la pace e la fraternità, per un mondo in cui ognuno si senta accolto e si trovi a suo agio. Dove ogni persona sia trattata con rispetto e dignità e nessuno sia escluso o scartato. Certamente un’operazione non facile, visto che viviamo in un sistema che crede più nell’accumulare e vendere armi e nell’erigere barriere che nel costruire ponti, ma possibile se ci lasciamo guidare dal- l’esempio di Gesù che è venuto non per dominare ma per servire, non per escludere ma per accoglie- re, non per attendere chi vuole andare da lui ma per uscire in cerca di chi è lontano. Possono sembrare parole retoriche in questi tempi di accese discussioni sull’accoglienza, sulla crisi dell’Unione europea, sul moltiplicarsi di barriere, sull’efficacia o sull’effetto droga della comunicazio- ne digitale, e così via. È vero: non bastano le pie esortazioni, occorre agire. Papa Francesco lo fa e i suoi gesti parlano per lui. Migliaia di missionari e di volontari lo fanno. Lo fanno anche i bambini, al- meno quelli non ancora «educati» dai genitori, che sanno dare un sorriso anche agli estranei. Faccia- molo anche noi. Diventiamo un po’ bambini.
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