Missioni Consolata - Maggio 2016
• Meucci | Telefono | Invenzioni | Migrazioni • MC RUBRICHE Fu in quel periodo che ti venne l’idea di un apparec- chio che mettesse in comunicazione due persone che stavano in lontananza. Avevo già fatto dei primi esperimenti in Cuba, ma il fatto che mia moglie fosse costretta a stare per lunghe ore della giornata a letto per colpa di una forma grave di ar- trite reumatoide, stimolò il mio ingegno. Allestii quindi un collegamento permanente tra il laboratorio, che era nello scantinato della casa, e la stanza di mia moglie si- tuata al secondo piano. Se eri un genio per quanto riguarda le comunica- zioni, non avevi certamente talento per il lucro, né la sola simpatia della comunità italiana poteva fare molto per te. Vero. Io continuai i miei esperimenti con il «telet- trofono», come chiamavo la mia invenzione, e migliorai considerevolmente la comunicazione fra la mia adorata Ester, ormai paralizzata nella sua stanza, e il mio labora- torio. Negli anni tra il 1851 e il 1871 provai e riprovai fino a trenta modelli diversi e ottenni ottimi risultati. Il labo- ratorio era pieno di disegni e prototipi. Poi ti dissanguasti economicamente, un po’ per pa- gare le cure sanitarie di tua moglie, un po’ per tanta sfortuna, e ti riducesti sul lastrico. In fondo non desistevo, anche se mi riempivo di debiti, sognavo il giorno in cui non avrei più avuto problemi eco- nomici. Mi accorgevo sempre di più di essere un vecchio in miseria con la moglie ammalata e un’invenzione che, lo posso dire veramente, sarebbe stata al servizio dell’u- manità, ma di cui, per colpa dei raggiri di cui ero vittima, non potevo goderne i frutti. Per colmo di sfortuna, il 30 luglio 1871, lo scoppio della caldaia del tragetto Westfield che mi stava riportando a casa a Staten Island da New York, causò l’incendio e l’affondamento dello stesso. Gravemente ustionato, finii in ospedale per mesi. Fu il tracollo finanziario. Per so- pravvivere, mia moglie fu costretta a svendere i miei boz- zetti e i prototipi di telettrofono per 6 dollari a un rigat- tiere. Una volta dimesso, ancora convalescente, provai a ricominciare da capo. # A sinistra : Antonio Meucci con modello e schema del suo telefono. Qui sotto : veduta di New York durante la costruzione del famoso ponte di Manhattan all’inizio del XX secolo. Caro Antonio, si può dire che nonostante le tue ca- pacità e soprattutto la sorprendente genialità che avevi per la comunicazione, tu abbia avuto una vita tutt’altro che fortunata. Parlaci un po’ di te. Cresciuto nel Gran Ducato di Toscana, dove le condizioni di vita della mia famiglia erano piuttosto grame e difficili, e coinvolto nei moti rivoluzionari del 1831 a causa delle mie convinzioni politiche e per le mie idee liberali, fui co- stretto ad andarmene dalla terra natia, per cui appena sposato presi la decisione di emigrare in America. La tua prima tappa però non furono gli Stati Uniti d’America. Infatti, dopo lunghe peregrinazioni nello Stato Pontificio e nel Regno delle due Sicilie, mi imbarcai per Cuba dove trovai lavoro come meccanico teatrale, fino ad essere re- sponsabile di tutto l’impianto scenografico. Là ebbi la possibilità di approfondire le mie conoscenze in elettro- tecnica e di fare esperimenti vari. Divenni anche uno dei primi a praticare la galvanostegia di oggetti (ricoprire cioè oggetti di metallo normale con oro o argento tra- mite un processo elettrico), è questo mi rese ricco e po- polare. Fu proprio a Cuba che ebbi le prime intuizioni sulla possibilità di comunicare a distanza grazie all’elettri- cità. Però non rimanesti a lungo nell’isola caraibica. Nel 1850, scaduto il mio terzo contratto con il teatro al- l’Avana, su suggerimento di amici, mi trasferii negli Stati Uniti stabilendomi a New York dove aprii una fabbrica di candele steariche di mia concezione. A New York in quegli anni incontrasti anche Giu- seppe Garibaldi. Proprio così. Fra me e Garibaldi sorse e si sviluppò una solida amicizia e lui per tutto il tempo che si fermò (1850-1853) negli Stati Uniti, fu ospite a casa mia e la- vorò anche nella mia fabbrica. Purtroppo la fabbrica, pur unica nel suo genere, non ebbe molto successo. La tra- sformai prima in una fabbrica di birra e poi fui costretto a venderla, anche se il nuovo proprietario mi permise di vi- verci fino alla mia morte.
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